Le attività economiche si fondano sul prezzo. Il prezzo non è un’invenzione di Satana, ma è l’unico strumento, escogitato dall’uomo, in grado di informarci sulla qualità/quantità di un prodotto e di un servizio. Ogni cosa ha un prezzo, materiale o immateriale. Compresa la democrazia, che rappresenta il pilastro del vivere civile. Lesinare le spese sulla voce «democrazia» può esporre a più di un pericolo, a cominciare dalle restrizioni dei margini di libertà.
Ovviamente non si può né si deve scialare. Il costo necessario di una democrazia non deve trasformarsi in un alibi per una classe politica famelica e mai sazia, né per la moltiplicazione di privilegi da Stato feudale. Ma non ci si deve neppure rassegnare a quei ragionamenti demagogici che associano ogni istituzione democratica ed elettiva alla sentina di una nave.
È vero, la democrazia è un sistema imperfetto e non privo di contraddizioni, ma, è risaputo, non si ha notizia della scoperta di un modello migliore. Tra gli argomenti utilizzati a favore della riduzione del numero dei parlamentari, ce n’è uno che possiede una discreta plausibilità. Eccolo: a che serve mantenere due assemblee così pletoriche se la stragrande maggioranza di deputati e senatori di fatto appartiene alla cerchia dei «nominati» dai capipartito del momento? E meno male, viene da aggiungere, che la Costituzione non prevede il vincolo di mandato, altrimenti, davvero al posto di molti eletti avrebbero potuto trovarsi automi o manichini.
Ma a un’osservazione di tal guisa, non si dovrebbe porre rimedio gettando, come si suol dire, il bambino insieme con l’acqua sporca. A un’osservazione del genere si dovrebbe rispondere restringendo, o tagliando, il recinto dei nominati, ridimensionando quel cerchio magico che, in ogni partito, fa il bello e il cattivo tempo a prescindere dagli eletti (spesso devoti ai padrini di turno) e dalle esigenze degli elettori. A un’osservazione di tale natura si dovrebbe replicare che, aumentando l’estensione dei collegi elettorali, in seguito alla riduzione dei parlamentari, si corre il rischio di portare alle stelle il costo delle campagne elettorali, con buona pace di tutte le preghiere contro gli esborsi di denaro e le seduzioni della corruzione.
Ma sarebbe ingeneroso prendere di mira solo i nominati «frutto» di un’elezione popolare. In tutti i settori, la schiera dei nominati, in Italia, è più corposa di quella che fu l’Armata Rossa sovietica. Si va dalle frange, sparse sul territorio, dei raccomandati che vivono di intrallazzi politici e si sistemano nelle stanze che contano, fino ai grandi prenditori seriali di risorse pubbliche. Quest’ultimi signori che si pavoneggiano esibendo il rango mediatico di imprenditori di successo, in realtà sono autentici nominati, docili servitori del Principe provvisorio, pronti ovviamente a cambiare gattopardescamente idolo da adulare in caso di rivolgimenti o sconvolgimenti politici.
Ora. Che siano nominati i politici, non è bello, ma ci può stare. È inevitabile, anche in politica che chi vive vicino al Sole si scaldi molto prima di chi si trova lontano. Ma che siano nominati gli imprenditori, questo è meno accettabile. Per la semplice ragione che la politicizzazione dell’imprenditoria genera la politicizzazione dell’economia, che a sua volta, come in una filastrocca tipo la canzone AllaFiera dell’Est di Angelo Branduardi, genera la distorsione nell’allocazione delle risorse che, a sua volta, provoca una dissipazione della ricchezza che, a sua volta istituzionalizza una logica, una gerarchia demeritocratica nel mondo delle imprese.
Che una cospicua parte dell’imprenditoria italiana sia composta da nominati, lo si deduce da mille sfaccettature, tra cui la natura gerontrocratica del capitalismo italico. Il mancato ricambio generazionale è solo colpa dei vecchi capitani di industria che non hanno voglia di mollare il timone della nave o è anche colpa della deriva del nostro sistema imprenditoriale, portato a lucrare rendite, più che a produrre reddito e profitto? E le rendite, si sa, si creano e si curano soprattutto grazie alle frequentazioni con il potere politico, che resta il più Grande Elemosiniere che la storia conosca.
I Ferrero, i Del Vecchio, gli Squinzi e tanti altri simboli dell’industria italiana erano tali già 40 anni fa, mentre oggi è raro trovare un 40enne nell’hit parade delle imprese nazionali. Molto più comodo investire nelle relazioni, anziché nelle realizzazioni. Molto più conveniente fare collezione di sovvenzioni anziché di idee innovative e di brevetti avveniristici.
Morale. Ci sono i nominati per elezione (parecchi titolari di cadreghe pubbliche) e ci sono i nominati per sovvenzione (parecchi titolari di imprese «private»). In entrami i casi, quasi tutti nominati. Quasi tutti debitori verso qualche decisore (creditore) posizionato più in alto.
Conclusione. Il problema dei nominati, che poi sarebbero i moderni privilegiati, non si risolve con misure a effetto, ad alto contenuto populistico-demagogico. Si risolve innanzitutto recidendo i lacci tra politica ed economia e successivamente riformando in maniera razionale le funzioni di governo, parlamento e regioni. Anche questo risulta un programma vasto e ambizioso, specie in Italia. Pertanto, impraticabile. Di conseguenza, non rimane che l’effetto annuncio o il buffetto a mo’ di monito. Così, tanto per dimostrare che sui costi della politica (cioè della democrazia) qualcosa si fa.