Se è vero, come sosteneva lo scrittore francese Victor Hugo (1802-1885), che i popoli si misurano dalla loro letteratura, bisognerebbe chiedersi come mai la Sicilia che, da sola, ha prodotto l’80% della grande narrativa italiana degli ultimi due secoli, occupa gli ultimi posti nella classifica della ricchezza nazionale. Una biblioteca di autori siciliani, per essere raccolta, avrebbe bisogno di un castello sconfinato per ospitare le opere di Luigi Capuana (1839-1915) e Giovanni Verga (1840-1922), Luigi Pirandello (1867-1936) e Tomasi di Lampedusa (1896-1957), Federico De Roberto (1861-1927) e Leonardo Sciascia (1921-1989), Vitaliano Brancati (1907-1954) e Elio Vittorini (1908-1966), Gesualdo Bufalino (1920-1996) e Andrea Camilleri (1925).
Non si contano gli autori isolani che hanno onorato e reso immortale la letteratura italiana. Ripetiamo la domanda: come mai una regione che ha dato i natali a questi fuoriclasse della scrittura debba arrancare come un gregario a corto di ossigeno nelle retrovie del progresso e dello sviluppo?
C’è poco da spaccare il capello. Evidentemente i siciliani si sono affidati a una classe politica di miserabili, aggettivo di casa nel linguaggio del siciliano Ugo La Malfa (1903-1979), e che non a caso corrisponde al titolo del capolavoro di Hugo.
Evidentemente la tanto celebrata autonomia siciliana ha peggiorato lo stato dell’arte. Evidentemente proprio in Sicilia lo scarto (di proporzioni nazionali) tra livello professionale e livello culturale all’interno della borghesia indigena ha toccato le punte più estreme. Non senza motivo, Sciascia parlava e scriveva della «Sicilia come metafora» (della condizione italica).
Ma pure la Campania offre esempi analoghi. La Campania non può schierare narratori paragonabili a quelli siciliani, in compenso la storia di Napoli e provincia può mettere in campo una formazione di economisti, giuristi, filosofi. saggisti e intellettuali vari che nazioni intere neppure si sognano, da Gaetano Filangieri (1753-1788) ad Antonio Genovesi (1713-1769), da Giacinto Dragonetti (1738-1819) a Francesco Mario Pagano (1748-1799), e - perché no? - da Eleonora Pimentel Fonseca (1752-1799) fino a Benedetto Croce (1866-1952).
Anche la Puglia e Basilicata possono fregiarsi di nomi eccellenti, da Antonio De Viti De Marco (1858- 1943) a Gaetano Salvemini (1873-1957), da Giustino Fortunato (1848-1932) a Francesco Saverio Nitti (1868-1953), per citarne solo alcuni.
Di conseguenza, se i popoli si misurano dalla loro letteratura, anche Puglia e Basilicata hanno di che andare orgogliose: le loro popolazioni sono di serie A.
Eppure, anche Puglia e Basilicata non possono dire di giocare nella serie A dell’economia italiana, segno che non sempre letteratura ed economia corrono alla stessa velocità. Anzi. La Russia dell’Ottocento, ad esempio, esprimeva narratori portentosi - da Leon Tolstoj (1828-1910) a Fedor Dostoevskij (1821-1881), da Aleksandr Puskin (1799-1837) a Ivan Turgenev (1818-1883) - ma non disponeva neppure di un’agricoltura premoderna. Viveva ancora in pieno Medioevo, e né ambiva a uscirne in fretta. La sua arretratezza industriale era clamorosa e nessuno poteva minimamente immaginare che lo sviluppo avrebbe potuto fare capolino se fosse spuntata una classe borghese di discreta produttività.
Piuttosto. Il progresso di un popolo non è figlio/genitore della letteratura, semmai della libertà. Più libertà si respira in un Paese, più speranze di decollo economico nutriranno i relativi cittadini. Se il Mezzogiorno non cresce o non è cresciuto abbastanza a dispetto di capolavori letterari e di cammei saggistici dal valore universale, forse è dipeso dal fatto che la voglia di protezione ha oscurato e posticipato le esigenze di libertà o che gli oboli una tantum elargiti dallo Stato centrale hanno irrobustito la convinzione, nel governo nazionale, di aver saldato il suo debito con la Bassa Italia.
Di conseguenza, laddove c’è da studiare, da scrivere e da leggere, laddove, come avviene in letteratura, non ci sono vincoli o freni di sorta, il top dell’intelligencija meridionale può sfornare saggi, romanzi di pregevole fattura. Viceversa, laddove abbondano i vincoli e i freni, come accade per l’economia ostaggio della burocrazia, fare impresa spesso si trasforma in un calvario senza fine. A volte il Contesto e il Sistema più sani preferiscono ritirarsi in buon ordine, anziché affrontare progetti ambiziosi e ad alto tasso di rischiosità.
Servirebbe un intervento choc, qualcosa che possa trasformare la straordinaria intelligenza immateriale del Sud in una ordinaria ricchezza materiale, rallentando così l’esodo a senso unico dei ragazzi appena laureati nel Mezzogiorno. Ma non si riesce a intravvedere chi potrebbe essere l’artefice di questo intervento choc e, soprattutto, in quale direzione esso debba andare. Di sicuro non dovrebbe andare verso i nuovi lidi assistenzialistici reintravisti in queste settimane. Altrimenti, la giostra non cambierà mai. Lo sviluppo sorriderà sempre al Nord, il sottosviluppo albergherà al Sud, mitigato alquanto da premi di consolazione dal sapore un po’ beffardo, tipo le tracce d’italiano agli esami di maturità, dove la letteratura meridionale fa, come al solito, la parte della tigre.
Si legge e si produce poco, qui da noi. In compenso i grandi del pensiero (un po’ meno quelli dell’azione) e della letteratura sono nati qui.