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Meglio tenere l’economia lontana dai litigi politici

 
Francesco Giorgino

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Francesco Giorgino

Il premier Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

«Il premier Conte ha ragione quando sottolinea che dietro la retorica europeista si nascondono interessi nazionali»

Lunedì 28 Gennaio 2019, 15:39

Il premier Conte ha ragione quando sottolinea che dietro la retorica europeista si nascondono interessi nazionali che alcuni Stati membri perseguono con molta determinazione. Il recente trattato di Acquisgrana tra Germania e Francia è stato interpretato dalla stragrande maggioranza degli analisti in due modi. Come la volontà da parte di Merkel e Macron di dimostrare un certo decisionismo, pur di scacciare nelle retrovie della rappresentazione pubblica l’immagine di debolezza dei due leader. Come la dimostrazione dei rischi di isolamento dell’Italia rispetto all’Europa che conta. Vi è, tuttavia, un terzo modo che appare più convincente e che si sviluppa a partire proprio dal presupposto del ragionamento effettuato da Conte di ritorno dal vertice di Davos.

Esso è rintracciabile nella prova del primato degli interessi nazionali su tutto e da parte di tutti, anche da parte di chi vuol contrastare l’ideologia sovranista. Se si osserva il modo in cui Francia e Germania hanno concordato le strategie per l’attribuzione di un seggio tedesco nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ci si accorge di quanta strada debba essere ancora percorsa perché si consolidi una cultura realmente europeista, costruita in continuità con l’esigenza di ricercare un’integrazione non di facciata. Una cultura rispetto alla quale non prevalgano egoismi, strappi, sottovalutazioni, doppie velocità, unilateralismi o bilateralismi. Al contrario, un’Europa in cui gli elettori contino con le proprie scelte, purché consapevoli.

Il tempo ci dirà se Aquisgrana, almeno nei fatti, prenderà o meno il posto di Maastricht. Ci aiuterà a dipanare la matassa creata da quanti alimentano il convincimento che l’euro si concretizzi nel marco e che l’economia dell’eurozona finisca per perseguire quasi esclusivamente gli obiettivi dei Lander. Le prossime elezioni europee rappresentano, infatti, uno spartiacque importante per quanti, soprattutto nel governo gialloverde, puntano a creare i presupposti per un’Unione diversa. Un’Unione che rinunci una volta per tutte al doppiopesismo messo in scena nelle ultime settimane da Francia e Germania. Lo dimostra la vicenda Fincantieri, colpita dalla scure dell’Antitrust francese, mentre proprio dai nostri cugini d’oltralpe andava realizzandosi il disegno di trasformazione del Belpaese in un luogo in cui fare shopping di imprese tricolore. Peraltro a basso costo. Tutto ciò vale a maggior ragione se si considera la principale differenza esistente oggi tra Roma e Parigi. Il nostro Paese è alle prese con un processo di rafforzamento del legame esistente tra leader e popolo, qui da intendersi come risposta alla crisi della politica e all’indebolimento delle diverse élite. La Francia è alle prese, invece, con una moltitudine di persone (si pensi ai gilet gialli) che non si riconosce più nel leader. Due scenari in contrasto tra loro che spiegano molti dei fenomeni in atto.
A ben vedere, sia l’autocritica di Junker su Grecia ed austerity, sia il trattato di Acquisgrana dimostrano che con una mano si combatte il nazionalismo, con l’altra esso viene messo in pratica. E ciò, a dispetto di quanto dichiarato tutti i giorni dal fronte europeista contro chi, forte di un ampissimo consenso popolare, prova ad imprimere alla politica dell’Unione un nuovo corso, pur senza uscire dall’Europa e dalla zona euro. Tra ortodossie ed eterodossie ci sono, dunque, molti paradossi che vanno affrontati senza ipocrisie e senza nascondersi dietro generiche enunciazioni di principio.

Come ha sottolineato l’economista Piketty, il processo di democratizzazione dell’Europa passa non solo attraverso un incremento della partecipazione popolare, ma anche tramite una riflessione seria e condivisa non tanto sul trasferimento di risorse economiche da Paesi virtuosi a Paesi meno virtuosi, quanto sulla necessità di combattere le disuguaglianze sociali, favorire il lavoro e l’occupazione, risolvere la questione migranti. Sono in atto dinamiche importanti che condizionano e condizioneranno l’economia mondiale e quella dell’eurozona. Aumenta in tutto il mondo il debito pubblico: il G20 dovrà occuparsene, adeguando la propria riflessione ai dati relativi al Pil planetario. Sia pur in modo diversificato, nel complesso rallenta l’economia specie dopo la guerra commerciale tra gli Usa e la Cina. In Europa frena la Germania e pesa l’incognita Brexit. L’Italia è in una fase di stagnazione, che secondo alcuni economisti però già prelude ad una situazione recessiva, considerando il fatto che a non crescere sono i mercati in cui esportiamo di più. A metà settimana l’Istat ci dirà qualcosa in più sul nostro Paese, così come nei prossimi mesi vedremo gli effetti dell’entrata in vigore di misure considerate dal Governo “espansive”. Il riferimento è a quota cento, reddito di cittadinanza ed interventi in favore del Sud. Interventi illustrati dal vice premier Di Maio ieri sulle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno. Si tratta di effetti da considerare come elementi integrativi e non certo sostitutivi della capacità di esportazione delle nostre imprese su cui finora si è basata gran parte della ripresa. Da questo punto di vista, va certamente considerato una buona notizia il rafforzamento della presenza di Eni nel Medioriente grazie all’accordo firmato ieri negli Emirati alla presenza del premier Conte. Carlo Messina, capo di Intesa Sanpaolo, ai suoi colleghi banchieri ha spiegato alcuni giorni fa in Svizzera che i fondamentali economici dell’Italia sono e restano forti, anche per la straordinaria capacità di fare risparmio che ci contraddistingue. Vero, ma serve anche altro. È necessario abbassare lo spread (il Governo si sta impegnando per accrescere la propria reputazione nei mercati) e soprattutto occorre definire una linea chiara sulle grandi opere. Rinunciando a dannose e generalizzate drammatizzazioni, ma anche ai molti pregiudizi presenti, puntando su chiarezza d’intenti, pragmatismo e investimenti si può evitare di essere, gioco forza, pessimisti per la seconda metà dell’anno.

Un occhio all’Italia e un altro al resto del mondo: Washington e Pechino, il Brasile di Bolsonaro e l’India, considerata come il fenomeno dei prossimi mesi. Tutto ciò senza rinunciare ad una riflessione sull’economia circolare, che permetterà di assicurare una connotazione semanticamente molto più capiente della parola “sostenibilità”. Ricordiamocelo. Più teniamo l’economia lontano dallo scontro politico, meglio faremo gli interessi del nostro Paese. Da italiani e da europei.

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