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Dalla libertà di stampa al vitello d’oro in rete

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

La Rete e la prevalanza dei «webeti»

Mattarella: «L’incondizionata libertà di stampa costituisce elemento portante e fondamentale della democrazia e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo»

Martedì 09 Ottobre 2018, 16:25

«L’incondizionata libertà di stampa costituisce elemento portante e fondamentale della democrazia e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo». Sono le parole pronunciate dal presidente Mattarella il 15 settembre scorso, all’indomani di una serie di attacchi contro i media sferrati da esponenti politici e di governo. Ma sono rimaste inascoltate a giudicare dai dardi scagliati nei giorni scorsi dalla coorte grillina contro giornali e giornalisti. Mattarella ha usato il termine stampa e, come correlato, giornalismo. Una scelta non casuale ma che oggi potrebbe apparire priva di senso: dominano gli strumenti digitali e i giornali vendono sempre meno («stanno chiudendo», gongola Di Maio).

L’articolo 21 della Costituzione, al primo comma, sancisce che: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». È la culla di tutte le forme di espressione. Ma fino all’avvento di Internet è stata una libertà attuata in maniera molto parziale. Pochissimi soggetti – giornalisti, politici, personaggi noti – avevano accesso agli strumenti di comunicazione di massa. Per gli altri era una libertà astratta, almeno dal punto di vista attivo. Grazie alla Rete, invece, la libertà di espressione, nella forma attiva e passiva, si realizza per tutti. Ciascuno è in grado di «manifestare il proprio pensiero» in ogni modo: con parole, suoni, immagini, e anche di recepire con la stessa ampiezza e libertà il «pensiero» degli altri.
La libertà di espressione, così vasta da sembrare ad alcuni illimitata, comprende anche il diritto di raccontare bugie. L’art. 21 non parla di un pensiero «vero». Le fake news hanno tutela costituzionale, almeno fino a quando non provochino gravi reati. Ciò impedisce che nel nostro ordinamento - superando l’articolo 656 del Codice penale - possa essere inserita una efficace norma anti-bufale, come dimostra il fallimento di vari disegni di legge approntati dai partiti.
Al secondo comma dell’articolo 21 cambia la scena e si legge che «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». I costituzionalisti l’hanno legato all’esperienza storica di cui erano freschi i costituenti. Il fascismo aveva abolito la libertà di stampa attraverso una serie di norme, legali ma non leali, che avevano rafforzato i poteri della censura e vincolato qualsiasi pubblicazione a un’autorizzazione prefettizia concessa e revocata con somma discrezionalità. Dunque, l’interpretazione diffusa di questo e dei commi successivi (sul sequestro degli stampati) ha attribuito ai costituenti «uno sguardo all’indietro». È una valutazione oggi più che mai ingiusta e infondata. I costituenti attraverso l’articolo 21 e la legge sulla stampa, da loro stessi approvata (XVII Disposizione transitoria della Costituzione), realizzarono un impianto giuridico di straordinaria modernità.

Spazio distinto - In altri termini, i costituenti definirono una libertà immensa – quella d’espressione – al cui interno collocarono uno spazio ben distinto e protetto, costituito dalla libertà di stampa. E parlando di stampa i costituenti intendono proprio i fogli di carta inchiostrati, come precisarono nell’articolo 1 della legge sulla stampa (la n. 47 del 1948). Non una generica libertà d’informazione, termine troppo vasto e svincolato dall’obbligo di verità. Informare significa infatti mettere una comunicazione in una data forma, senza vincoli.
Dottrina e giurisprudenza, in maniera costante e concorde, hanno sostenuto che alla luce proprio dell’articolo 1 della legge 47/48 i giornali online, seppur sotto l’ombrello costituzionale della libertà d’espressione, non potevano però essere compresi nello spazio protetto riservato alla stampa. Una sciagurata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, slabbrando oltremodo il principio funzionalistico, ha stabilito invece che i giornali online, per quanto riguarda la possibilità di sequestro, godono della speciale protezione prevista dalla Costituzione per i giornali cartacei. Tutela negata a telegiornali e radiogiornali proprio perché non sono «stampa».

La sentenza in questione ha anche creato una disparità di trattamento in caso di diffamazione, in quanto la legge sulla stampa per i reati commessi attraverso i giornali cartacei prevede sanzioni molto più afflittive rispetto a quegli stessi reati commessi con altri strumenti di comunicazione, compreso il web.
La severità con cui i costituenti intesero colpire la diffamazione a mezzo stampa dà la chiave per capire il loro avveniristico progetto: blindare la libertà di stampa, ovvero il diritto di cronaca, in quanto espressione di verità. Un disegno che apparirà nella sua completezza con l’approvazione della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti e che all’articolo 2 fissa l’«obbligo inderogabile» di raccontare la verità sostanziale dei fatti.
Il tentativo cui oggi assistiamo, per esplicita volontà politica, è di cancellare l’area protetta della libertà di stampa da cui trae ossigeno la democrazia. Come? Togliendo risorse (la pubblicità) ai giornali di carta e abolendo l’Ordine dei giornalisti. In breve anche le tv dovranno capitolare. Bufale e notizie si mescoleranno senza possibilità di distinzione. La libertà d’espressione si realizzerà - pericolosamente - attraverso il chiasso di un unico strumento: il web, il vitello d'oro adorato dalla nuova classe politica. 

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