Certo, ha fatto dispiacere sentirlo, perché il ministro Tria è una persona perbene, tranquilla, e anche competente, ma come dicono a Roma? Quanno ce vo’ ce vo’. E così, col suo tipico piglio decisionista il vicepresidente Di Maio glielo ha detto: “Pretendo che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani... e un ministro serio i soldi li deve trovare". Come sappiamo, i soldi di cui parla il capo politico dei 5Stelle sono quelli per il reddito di cittadinanza. Quello che non sappiamo è che cosa ha pensato il ministro Tria a sentire quelle parole. Però possiamo cercare di immaginarlo. Un ministro serio! Io! Che da quando sto qua, in mezzo a questo cambiamento che poi vedremo che cosa cambiate, sto cercando di rassicurare i mercati sull’impegno che l’Italia ha con l’Europa per raffreddare lo spread, che se fosse per quello che dite tu e quell’altro adesso sarebbe a mille e poi vedremmo chi vi comprerebbe un euro di BOT o CCT! E se le parole fossero pietre, come dice Carlo Levi, chissà che cosa diventerebbero quel ‘serio’ e quel ‘deve’ nelle mani del ministro Tria. E chissà chi prenderebbero di mira quelle pietre. Intendiamoci, questa è solo supposizione, immaginazione, perché naturalmente il ministro Tria, che è un ministro serio per davvero, non ha detto una parola. Però a occhio, se dovesse dirlo con due parole, forse farebbe una vignetta come quella - velenosissima - di Pillinini, che giovedì ha disegnato un Di Maio con gli occhi incrociati e il labbro inferiore sporgente che porta al collo un cartello con su scritto “povero deficit”. E tutti abbiamo capito, no?
Il deficit, ecco cosa vorrebbero fare, come se da quarant’anni in Italia non facessimo altro. Mentre l’Europa non vuole. L’Europa, sempre l’Europa, che con il suo euro che ci ha dissanguati. Ma se uscissimo da tutt’e due e ritornassimo alla nostra cara vecchia lira, il deficit lo risolveremmo in una notte, stampando un fiume di cartamoneta, all’occorrenza facendosi aiutare da Totò e Peppino come nel vecchio film.
E potremmo fare anche i condoni. Quanti ne abbiamo fatti nei decenni, ed è una cosa ingiusta, lo sappiamo tutti, perché premiano i furbi, quelli che non pagano le tasse e poi si mettono la coscienza (e le cartelle) a posto con quattro soldi. Ecco. E per questo il Movimento 5Stelle, di cui l’onorevole Di Maio è il capo politico ha sempre detto: noi non faremo mai un condono! Mai! Però adesso cerchiamo di vedere la cosa da un altro punto di vista. Per esempio, voi cosa pensate della parola ‘pace’? Preferite per caso ‘guerra’? Noo? E allora viva la pace: la pace sociale, la pace dei sensi, la pace fiscale. Sì, fiscale, non ci vergogniamo a dirlo. Perché vi pare bello, uno Stato che riduce sul lastrico un povero uomo perché non ha potuto – questa è la verità! – pagare quelle tasse mostruose, lo dicono tutti? Dice, ma se deve pagare quelle tasse vuol dire che ha guadagnato in proporzione. Ecco, ecco la sete di vendetta, l’invidia sociale! Ma i salariati, gli statali le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo, e direttamente dalla busta paga. E allora? Noi leviamo un coro di lodi a questi cittadini probi, ma ve la ricordate la parabola del figliuol prodigo? Ecco, così si comporta un padre che ama i suoi figli; i soldi che quei figli non hanno pagato di tasse – dieci, centomila euro, un milione - ormai non ci sono più; qualcuno si è comprato la villa, qualcuno la barca, un altro il Ferrarino; insomma, non ci sono più. Ma uno Stato a misura d’uomo (nel caso, anche di donna) che fa? Dice: va bene, dammi il 25 percento di quello che mi devi e chiudiamo qui la storia. Chi ha avuto, ha avuto…