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Il sogno di un’Italia unita e solidale

 
Stefano Tatullo

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Stefano Tatullo

Genova, via la concessione a AutostradeTre ministri:stop e  multa da 150 milioni

Lunedì 27 Agosto 2018, 15:31

In un minuto il grande ponte era crollato. Quarantatré vite erano restate sepolte laggiù sotto gli enormi blocchi di cemento caduto. Grande fu l’emozione nel Paese. Grande la rabbia. Grande l’impegno della politica ad accusarsi e ad assolversi, a mostrarsi e a nascondersi. Grande l’indignazione del popolo social. E tutti gridarono, tutti inveirono, tutti condannarono. Reggendo nel pugno levato la bilancia della giustizia orrendamente sbilanciata, i sanguinari sanculotti non si staccarono un attimo dalla tastiera per mandare al patibolo i concessionari - a cui togliere la concessione, ora! -, chi avrebbe dovuto controllare e non l’aveva fatto, chi avrebbe dovuto segnalare, chi aveva dato la concessione, chi l’aveva prorogata, e, fatale, chiesero: perché? Perché quella benevolenza? Cosa c’era dietro?

Il Paese arroventò sotto l’ira di chi aveva perso il figlio, la famiglia, i nipoti, la casa, la strada per andare al lavoro; e soprattutto di chi si elesse a loro rappresentante, loro protettore. Ci furono impegni solenni, selfie e applausi; mentre il moncone del ponte minacciava nuovi crolli, nuovi lutti.
E forse fu da lì, dal cemento del moncone, che cadde sul Paese una luce grigia, prima fosca, poi a mano a mano più chiara, trasparente. E quella che si vide adesso fu una vita nuova. Per il ponte non ci fu più rabbia, ma solo dolore. Un dolore grande che permeava la vita delle persone nel profondo, ma sommesso, trattenuto; di cui non si parlava, tanto era manifesto sui volti, nei gesti. Tutti scesero nel greto dove il ponte era caduto e in silenzio presero a rimuovere i pezzi di cemento passandoseli di mano in mano, in una catena. Anche per i pezzi più grandi, quando arrivarono le ruspe, gli escavatori, gli uomini nelle cabine manovrarono anch’essi in silenzio, col pensiero ai morti.

La politica non cessò un attimo di occuparsi del disastro. Fu formato un comitato in cui erano presenti i leader di tutti i partiti e i rappresentanti delle forze sociali col compito di elaborare progetti per risolvere al più presto i problemi di chi aveva perso la casa e in un attimo si era trovato spogliato di ogni avere. Tutto si svolse in un fervido silenzio. Ciascuno dei partecipanti arrivò con una cartellina in cui i suoi uomini avevano preparato grafici e tabelle che illustravano dettagliatamente le condizioni della città e della parte più colpita. Parlando a turno, con voce chiara, ferma, furono esaminati tutti gli aspetti della vita cittadina, furono proposte soluzioni, e adottate determinazioni da mettere in atto immediatamente. Colpì in quelle riunioni la consonanza fra tutti i presenti nel perseguimento del risanamento della città, l’ascolto attento che Matteo riservò a Matteo, la riflessiva moderazione di quest’ultimo, la considerazione che tutti ebbero per Luigi, che a sua volta mostrò ripetuto apprezzamento per l’equilibrio di Maurizio di cui tutti conoscevano le difficoltà all’interno del suo partito. Il Presidente seguiva con accorata partecipazione ma senza intervenire, e in cuor suo trovava conforto in quella unità che la classe politica del Paese mostrava in tempi pur così dolorosi.

Intanto, nel suo istituzionale riserbo, la magistratura conduceva le indagini per accertare le cause del crollo e individuare eventuali responsabilità che poi sarebbero state oggetto di giudizio nei processi. Impressionò in quei giorni la condotta del concessionario, che prima si raccolse in un riserbo che qualcuno definì di lutto, e poi come primo gesto pubblico mise alcune delle sue ville a disposizione degli sfortunati che avevano perso la casa nel crollo del ponte. Inoltre, l’amministratore delegato annunciò che la società aveva già messo a disposizione cinque miliardi per le prime necessità della popolazione colpita. La cifra fu ritenuta da tutti molto generosa, ma essa non faceva che confermare l’attenzione che il concessionario aveva sempre mostrato, in tutti gli aspetti di sua competenza, al benessere dei cittadini utenti.

Sui social network, in cui talvolta si erano colti segni di incontrollata impulsività e corrività di giudizio, partì una vera e propria campagna di sostegno all’operato della politica, oltre che della magistratura, e davvero non si riusciva a distinguere se taluni suggerimenti e apprezzamenti provenivano dalla sinistra o dalla destra, dal Nord o dal Sud del Paese. Informato dai suoi collaboratori, il Presidente, si affacciò sul mondo per lui nuovo dell’agorà mediatica, e di nuovo fu per lui motivo di grande conforto quella coesione - quella fratellanza, egli pensò - fra i suoi concittadini, e trasse favorevoli auspici per una sollecita e sicura ricostruzione del ponte, della città e del Paese intero, che mai fino ad allora aveva mostrato così nobili sentimenti di unità e solidarietà.

Fu in quel momento che un fulmine sulfureo colpì lo spuntone appeso del ponte sbriciolandone la punta minacciosa, e in un attimo il grigio trasparente che tutto aveva avvolto si dissolse. Ritornò il caldo umido di agosto e da qualche parte si sentì alla radio una voce che diceva: «Continua in Italia lo scontro fra i partiti sul crollo del ponte Morandi a Genova. Cresce la rabbia e la protesta degli sfollati mentre nella rete si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo per l’identificazione dei politici che si erano dichiarati favorevoli alla proroga della concessione. Intanto la magistratura... »
Era stato un sogno; l’Italia unita e solidale almeno di fronte alla sciagura era stata solo un sogno.

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