La crisi idrica globale non è più una previsione da libro di scienza del futuro, ma una realtà concreta che minaccia la stabilità geopolitica, la salute pubblica e la sopravvivenza quotidiana di miliardi di persone. L’acqua dolce, una volta considerata risorsa illimitata, è oggi al centro di tensioni internazionali, migrazioni forzate e cambiamenti sociali profondi. Oltre 2,2 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso sicuro ad acqua potabile, mentre 3,5 miliardi non dispongono di servizi igienico-sanitari adeguati. E le previsioni non sono incoraggianti, secondo il World Water Development Report 2024 delle Nazioni Unite, entro il 2050 circa cinque miliardi di persone vivranno in aree soggette a stress idrico per almeno un mese l’anno.
Il legame tra carenza d’acqua e instabilità politica è ormai documentato: nel solo 2023 il Pacific Institute ha registrato quasi 350 episodi di violenza legata all’acqua. In molti casi si è trattato di attacchi intenzionali a impianti idrici in zone di conflitto, come nella Striscia di Gaza o in Siria. Quando l’accesso all’acqua diventa una questione di vita o di morte, non stupisce che possa trasformarsi in un casus belli. In regioni come il Medio Oriente, l’Africa subsahariana o il Sud America, dove i bacini idrici attraversano più confini statali, la cooperazione è fragile e spesso assente. Solo il 20% delle acque transfrontaliere è attualmente gestito tramite trattati multilaterali.
Non sono solo le guerre a spingere le popolazioni in fuga. A causa della siccità prolungata, milioni di persone sono già costrette a lasciare le proprie terre per cercare fonti di sopravvivenza altrove. In Africa orientale, il ciclo di El Niño ha provocato uno dei peggiori periodi di siccità dell’ultimo secolo, con 90 milioni di persone a rischio fame e interi raccolti andati perduti. In Somalia, oltre un milione di persone sono state sfollate solo nel 2024, mentre in Zimbabwe si è registrata la perdita del 70% del mais, alimento base del Paese. Anche l’Asia meridionale e l’America centrale affrontano emergenze idriche simili, che spingono masse di popolazione verso le periferie urbane, dove si aggiungono ai milioni di migranti climatici. Secondo la Banca Mondiale, la mancanza d’acqua è già responsabile del 10% dell’aumento delle migrazioni globali dal 1970 a oggi. Entro fine secolo, fino a 700 milioni di persone potrebbero essere costrette a lasciare le proprie case per la siccità cronica. Ma non serve guardare troppo lontano per vedere gli effetti concreti di questa crisi.
Anche l’Italia è vulnerabile. Secondo l’ISPRA, il nostro Paese ha visto negli ultimi vent’anni un aumento del 70% degli episodi di siccità severa. A ciò si aggiunge un paradosso: in Italia ogni persona consuma in media 236 litri d’acqua al giorno, quasi il doppio della media europea. Eppure, il 42% dell’acqua immessa nelle reti idriche nazionali si perde per colpa di infrastrutture obsolete, con un danno economico e ambientale enorme. Basta questo dato per capire che il cambiamento non può arrivare solo dai governi, ma deve partire anche dalle abitudini quotidiane di ciascuno di noi.
Risparmiare acqua in casa è possibile, spesso con gesti semplici e a costo zero. Secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti può far risparmiare fino a 30 litri a persona al giorno; scegliere la doccia al posto del bagno in vasca ne risparmia almeno 100; installare un doppio pulsante di scarico nel WC può evitare di sprecare oltre 8mila litri all’anno. Anche raccogliere l’acqua piovana per irrigare il giardino, preferire elettrodomestici di classe energetica alta e riparare tempestivamente le perdite sono azioni che fanno la differenza. In un momento in cui la disponibilità idrica si riduce, ogni litro conta. Ma il risparmio domestico, seppur fondamentale, non basta. Serve una governance globale più giusta ed efficace. Occorrono investimenti in infrastrutture resilienti, accordi internazionali per la gestione dei fiumi e dei laghi condivisi, un’agricoltura meno idrovora, una pianificazione urbanistica capace di affrontare siccità e alluvioni. Occorre anche affrontare le disuguaglianze, perchè le fasce più povere della popolazione, spesso escluse dalle reti idriche e igieniche, sono le più vulnerabili agli shock climatici e idrici. Non si tratta solo di un problema ambientale, ma di un detonatore sociale che colpisce in modo diseguale chi ha meno strumenti per difendersi. In questo scenario, l’acqua può diventare il nuovo petrolio, una risorsa contesa, fonte di conflitti e instabilità. Oppure può trasformarsi in un bene comune, gestito in modo equo, sostenibile e cooperativo. La scelta, oggi più che mai, è nelle mani di tutti.