Domenica 07 Settembre 2025 | 10:56

Meno farmaci, più alberi la salute inizia sotto casa

 
Alessandro Miani

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Alessandro Miani

Farmaci

Gli studi lo dimostrano: il verde non è soltanto decoro

Venerdì 05 Settembre 2025, 12:33

In Italia, oltre il 5,5% della popolazione adulta, circa 2,5 milioni di persone, assume antidepressivi o ansiolitici. Lo certifica l’Indagine Ipsad del Cnr, che registra una crescita continua. Tra novembre 2023 e ottobre 2024, sono state vendute oltre 49 milioni di confezioni, con un incremento del +3,2% in volume e +3,8% in valore, per un totale di 525 milioni di euro. La Lombardia è la prima regione per consumo, con 8 milioni di confezioni, seguita da Toscana, Emilia- Romagna, Piemonte e Veneto. A guidare le prescrizioni sono i classici inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), come sertralina (+6,3%), escitalopram, venlafaxina, duloxetina, trazodone, e l’exploit della vortioxetina (+14,5%).

Questo boom farmacologico suona quasi come un campanello d’allarme su una questione più profonda: stiamo trattando i sintomi, ma ignoriamo le cause ambientali del malessere psicologico? Che ruolo gioca, ad esempio, il verde urbano nella prevenzione della sofferenza mentale? La letteratura scientifica è ormai concorde, il contatto con la natura apporta benefici concreti alla salute mentale. Esporsi a spazi verdi come parchi, giardini, alberature stradali, migliora le prestazioni cognitive e favorisce la regolazione emotiva.

Due sono le teorie cardine: la «rigenerazione dell’attenzione», secondo cui gli ambienti naturali ripristinano la capacità cognitiva affaticata, e la «riduzione dello stress», che evidenzia come la natura induca rilassamento e abbassi lo stress psicologico. Ma c’è di più. Gli effetti della natura si estendono anche al piano relazionale. Spazi verdi ben progettati aumentano la coesione sociale nei quartieri, facilitano l’integrazione di immigrati e minoranze, rafforzano i legami familiari e promuovono una comunicazione positiva nei contesti genitore-figlio. L’esperienza collettiva del verde urbano stimola interazioni, abbassa il senso di solitudine e migliora la qualità della vita comunitaria. Non si tratta solo di percezioni, i dati ci sono e sono solidi. Una metanalisi pubblicata su Environmental Research ha rilevato un effetto moderato ma significativo nella riduzione del tono dell’umore negativo dopo l’esposizione a contesti naturali. In Danimarca, i bambini cresciuti in quartieri ricchi di vegetazione mostrano un rischio inferiore del 55% di sviluppare disturbi psichiatrici in età evolutiva. Nei Paesi Bassi, quartieri con oltre il 28% di copertura vegetale registrano un calo significativo nelle prescrizioni di antidepressivi, con un effetto dose- dipendente particolarmente marcato sopra il 79%. Anche in Italia emergono dati indicativi: una simulazione epidemiologica stima che, se le aree urbane raggiungessero il 25% di copertura verde (valore del quartile superiore), si potrebbero prevenire numerose morti premature, grazie a benefici sinergici su qualità dell’aria, riduzione dello stress e mitigazione del calore. In Europa, l’Oms e l’Agenzia Europea per l’Ambiente raccomandano l’accesso entro 300 metri a uno spazio verde pubblico, una soglia spesso disattesa in molte città italiane, da Milano a Roma, da Torino a Napoli.

La densità di alberi nelle nostre metropoli è inferiore alla media UE, e l’urbanizzazione eccessiva lascia interi quartieri privi di «polmoni verdi». In questo contesto, la «regola del 3-30-300», ovverosia tre alberi visibili da casa, il 30% di verde nel quartiere e massimo 300 metri di distanza da uno spazio verde, si propone come un nuovo standard di progettazione urbana per garantire la salute mentale. Non si parla solo di quantità, ma di qualità: accessibilità, sicurezza, biodiversità, manutenzione e coinvolgimento della comunità sono determinanti chiave per l’efficacia psicologica del verde. A conferma, la revisione sistematica pubblicata su «Urban Forestry & Urban Greening» nel 2023 ha analizzato 57 studi da 21 nazioni: il benessere soggettivo risulta associato sia alla presenza fisica di verde (misurata con Ndvi o superficie vegetata), sia alla percezione individuale (qualità, fruibilità, senso estetico). Uno studio pubblicato su «EPJ Data Science» ha dimostrato che nei Paesi ricchi il verde urbano predice la felicità meglio del PIL pro capite. L’effetto è mediato dal supporto sociale, e modulato dal livello nazionale di disuguaglianza.

In Italia, intanto, continuiamo a distribuire milioni di confezioni di psicofarmaci. I costi sanitari e sociali sono enormi: terapie, farmaci, assenze dal lavoro, invalidità. Ma cosa accadrebbe se investissimo in verde urbano anziché in pillole? Nei Paesi Bassi si stima che aumentando dal 30% al 50% la copertura verde dei quartieri si potrebbero evitare fino al 15% delle prescrizioni di antidepressivi. Un risparmio netto anche per il sistema sanitario. Serve un cambio di paradigma, da una psichiatria «reattiva», basata sulla cura tardiva, a una psichiatria urbana integrata nella pianificazione territoriale. In Giappone esiste già: lo shinrin-yoku, la «terapia del bosco», è una pratica clinica riconosciuta. In Italia, invece, manca ancora una visione sistemica che metta insieme urbanisti, amministrazioni, medici e cittadini. Il verde non è solo decoro, è prevenzione. È salute pubblica. È un diritto. Non bastano interventi spot o bonus alberi, servono politiche strutturali che riducano il consumo di suolo, aumentino il verde pubblico fruibile, rendano accessibili gli spazi naturali anche nei quartieri più vulnerabili. E che valutino gli impatti sulla salute mentale nei bilanci pubblici. Perché se i dati epidemiologici ci dicono che stiamo medicalizzando la società, la scienza ci offre un’alternativa concreta: più alberi, meno ansia. Più parchi, meno farmaci. Curare la mente potrebbe davvero cominciare dal verde sotto casa.

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