Leonardo Leo
Nicola Sbisà
09 Luglio 2018
Nel ricchissimo e variegato panorama della creatività musicale pugliese di ogni tempo, indubbiamente il nome (e l’opera) di Leonardo Leo (nome completo Lionardo Ortensio Salvatore de Leo; San Vito degli Schiavi 1694 - Napoli 1744), rivestono una importanza fondamentale.
Appena quindicenne Leo come praticamente tutti i musicisti pugliesi del tempo, venne inviato a Napoli per completare convenientemente la sua formazione musicale. Nel 1709 entrò nello storico conservatorio della Pietà dei Turchini e vi rimase sino al 1713. Ai Turchini ebbe come maestri prima Andrea Basso e quindi Nicola Fago (com’è noto tarantino di nascita e che insegnò ai Turchini dal 1705 al 1740). Un tempo gli venivano attribuiti come maestri anche Pitoni a Roma e Alessandro Scarlatti a Napoli. Ma recenti ricerche hanno smentito queste notizie.
L’esordio di Leo come compositore si fa risalire al 1712 quando - nominato “maestricello” - ebbe l’incarico di musicare un dramma sacro. Creò un dramma sacro “L’infedeltà abbattuta” (su libretto di G. Maggio). Il lavoro ebbe grande successo e venne ripetuto addirittura a Palazzo Reale. L’anno seguente il Nostro creò un altro dramma sacro “Il trionfo della castità di S. Alessio”. Il primo incarico operistico lo ebbe nel 1714 e nacque così il “Pisistrato” andato in scena nel maggio del 1714.
Dovettero passare però ben quattro anni perché una sua altra opera andasse in scena : si trattò della “Sofonisba”. Val la pena rilevare che le prime opere - con cadenza quasi biennale - di Leo furono opere “serie”: “Caio Gracco” (1720), “Arianna e Teseo” (1721), “Baiazete” (1722), “Timocrate” (Venezia, 1723). Ma è sempre nel 1723 che il Nostro creò la sua prima opera buffa: “La ‘mpeca scoperta”. Un genere, quello dell’opera buffa, che da allora si alternò, con risultati sempre positivi alla produzione “seria” che egli non intese mai abbandonare. Nacquero così “L’ammore fedele” e “Lo pazzo apposta” (ambedue del 1724.) e quindi ancora “Orismene”, “La semmeglianza”, ed a seguire nel tempo “Lo matrimonio annascuso”. L’elenco è lungo e si alternano opere comiche e serie e ad esso se ne aggiunge uno non meno fitto di “serenate”, feste teatrali, cantate da camera ed altri brani. Val la pena sottolineare che, venendo meno ad una prassi consolidata che voleva Napoli come sede per quasi tutta la sua produzione, un suo lavoro “San Francesco di Paola nel deserto” venne presentato per la prima volta - era l’anno 1738 - a Lecce.
Dopo un breve soggiorno a Torino, Leo tornò a Napoli e nel gennaio del 1741 successe a Nicola Fago come “primo maestro” alla Pietà dei Turchini. Nel 1744 - alla morte di Sarro - divenne maestro della Reale Cappella. Il 31 ottobre di quell’anno fu trovato morto seduto al clavicembalo: era intento alla rielaborazione del suo capolavoro: “Amor vuol sofferenza”.
Non va comunque sottovalutata la sua produzione legata al “sacro”. Infatti compose ben sette “oratorii” su libretto di Metastasio. Quelli giunti a noi nella loro interezza, sono “S. Elena al Calvario” e piuttosto noto, “La morte di Abele”, ambedue presentati a Napoli nel 1732. Val la pena rilevare che ambedue le creazioni hanno un “taglio” operistico: infatti rispecchiano strutturalmente e come spirito l’“opera seria” napoletana, con recitativi “secchi” che si alternano ad “arie” sviluppate.
Fra le varie “messe” – ben sei - strutturate secondo la formula napoletana della “missa brevis”, spicca per consistenza quella “in fa” (sostanzialmente limitata a “Kyrie” e “Gloria”), della durata di circa 40 minuti. Nella vasta e varia produzione sacra, spiccano un “Miserere a due cori”, un “Te Deum” in re magg., un “Magnificat” nel quale è chiara la propensione dell’autore a concedere ampio spazio al coro, ed ancora due preziosi “mottetti” il “Dixit Dominus” ed il “Salve Regina”, il primo per quattro voci soliste e coro il secondo per soprano, due violini e basso continuo.
La notorietà e la diffusione di una certa produzione musicale, la si può anche in parte dedurre dalla presenza di musiche di un certo autore nel campo delle registrazioni commerciali. Ed in proposito va rilevate come la discografia di Leo sia piuttosto scarsa. A parte la registrazione di un “concerto” per quattro violini ed archi in re magg., e di due dei sei concerti per violoncello e archi (precisamente il n.1 ed il n.6), sono sul mercato internazionale un “mottetto” (“Heu nos Miserere”) ed un “Salve Regina” per voce e archi, mentre un’aria “Sarebbe un bel diletto” dall’opera “Catone in Utica” su libretto di Metastasio è affidata alla voce di A. Christofelis, che l’ha inclusa in un recital (edito dalla Emi).
Quale, alla fine la considerazione per Leonardo Leo? Bene, lo si deve indiscutibilmente ritenere uno dei “fondatori” della Scuola Musicale Napoletana e soprattutto uno dei più capaci sostenitori della musica drammatica. Un autore di tutto rispetto quindi, che andrebbe conosciuto meglio e soprattutto con un’accorta scelta delle pagine da proporre al pubblico. Non dovrebbe essere più assolutamente considerato una “gloria locale”, ma un “grande” a tutti gli effetti!
E siamo quindi al “dunque”. Una volta di più ribadiremo una indiscutibile opinione. È bene che si parli della musica, della sua presenza e funzione nella società, ma la musica va eseguita (e convenientemente, aggiungeremo). C’è da chiedersi allora da quanto nei pur varii e sempre ben assortiti programmi concertistici e non solo, proposti al pubblico barese da più parti, non appare un brano - consistente e significativo, è opportuno aggiungere - di Leo? Si tenga presente che nella sua produzione rientrano anche non poche pagine strumentali fra le quali addirittura un “Concerto per 4 violini”. L’auspicio – a questo punto - è che i promotori di manifestazioni musicali nostrane ci facciano un pensierino!
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