All’inizio pensavo fosse un pesce d’Aprile, ma la data non coincidente e le conferme sui vari organi di stampa hanno rafforzato la (triste) sensazione che si trattasse, piuttosto, della dura realtà: in Cecenia il governo ha proibito la musica più lenta di 80 e più veloce di 116 pulsazioni al minuto. Cioè, per capirci, la musica molto lenta e quella molto veloce; questo per preservare l’identità nazionale: ogni brano che ecceda i limiti governativi sarà messo al bando.
Una piccola nota, per inciso, sul modo in cui alcuni autorevoli giornali italiani ne hanno scritto: «Vietate sonorità non comprese fra 80 e 116 battiti al minuto» significa non conoscere il significato della parola sonorità, che si riferisce al timbro e non alla velocità. Transeat.
Tornando invece al fulcro della questione, e cioè al fatto in sé, la notizia sarebbe comica se non fosse tragica.
Immaginiamo una commissione musicale con tanto di Autovelox che punisce un brano che ha un metronomo a 79, o 117: «Per un pelo, ma non ce l’hai fatta, ci dispiace».
Si potrebbe stabilire una scala di gravità: da una multa salata per un Minuetto un po’ troppo vivace fino, che so, al Volo del calabrone, per il quale scatta il ritiro del diploma di Conservatorio.
Estendendo il concetto ad altri parametri musicali, un’ulteriore proposta governativa potrebbe suggerire di introdurre l’obbligo di non indugiare troppo su una nota (divieto di sosta), perché la musica deve scorrere sempre con regolarità. Oppure vietare certe tonalità, o certi intervalli (cioè la distanza in termini di altezza fra una nota e la successiva: non dimentichiamoci che la quarta eccedente – do fa diesis, per intenderci – era chiamato Diabolus in musica). Si potrebbe definire una graduatoria di tutto e proibire strumenti che sono notoriamente opera del demonio (il sax contralto, il violoncello, la batteria o certe voci di grande sensualità).
La tragedia, naturalmente, sta nella limitazione della libertà, che è un bene vitale, come acqua e aria, e però ci sono Paesi che non la praticano, mai, in alcun modo, e i suoi cittadini-sudditi ne sentono pulsare l’energia vitale, ma così, sottotraccia, perché per davvero non sanno cosa sia, questa libertà.
La musica, che infatti alcuni stati integralisti islamici hanno vietato tout court – altro che metronomi! – è sempre stata una straordinaria fonte di energia, di vita, di libertà, oltre che di pensiero e di cultura. Ma la musica è anche piacere, che è una delle cose più importanti nella nostra vita perché stimolo alla libertà e alla conoscenza.
Le dittature, gli autoritarismi, oltre a condannare il piacere, non conoscono l’ironia, non hanno spazio per l’umorismo, e dunque risultano inevitabilmente – e involontariamente – comici nella loro ottusità. Comici per quanto possibile, considerando che la limitazione alla libertà degli individui non fa ridere, anzi, ed è piuttosto una ragione per lottare, a costo della vita.
Postilla a margine: non rallegriamoci troppo, compiacendoci di quanto, invece, il mondo occidentale sia libero ed evoluto. Certe esagerazioni della CancelCulture, specie negli Stati Uniti, sono altrettanto tragicomiche. Non se ne può parlare troppo, specie in America, perché si rischia molto (Federico Rampini su questa situazione dice e scrive cose illuminanti). Il paradosso è che certe derive liberticide vengono da un Paese moderno e così sicuro della sua superiorità culturale da esportare il proprio modello di democrazia.
La libertà non si trova dappertutto, ma la stupidità non conosce confini.