Fu una vigilia di San Valentino davvero speciale quella che i jazz fans pugliesi trascorsero il 13 febbraio del 1980. Perché era forse la prima volta che la città accoglieva nel suo Petruzzelli un evento memorabile dedicato alla musica afroamericana. Intendiamoci, non è che in passato non ci fossero stati a Bari dei nomi importanti e, tanto per dirne una, sempre il Petruzzelli, nel 1974, aveva ospitato - auspice la Camerata - il leggendario pianista chicagoano Earl Hines, partner di Louis Armstrong negli Anni ‘20 e successivamente leader di una delle orchestre che negli Anni ‘40 avevano documentato i primi vagiti del bebop. E sempre prima del 1980, si erano alternati nei cartelloni della Camerata personaggi come Gerry Mulligan o il Modern Jazz Quartet. Ma quando, sempre la Camerata, annunciò la prima venuta a Bari di Dizzy Gillespie, appunto in quel 13 febbraio del 1980, l’entusiasmo andò alle stelle e la notizia si diffuse così rapidamente che le richieste di biglietti cominciarono a fioccare da tutta l’Italia meridionale.
All’epoca Gillespie aveva 63 anni ed era non solo un mostro sacro, ma soprattutto poteva ancora sfoggiare una forma solistica trascinante che andava di pari passo con quella gigioneria che gli consentiva di arruffianarsi abbastanza facilmente le platee. E così fu anche a Bari, in un Petruzzelli decisamente gremito come una «domenicale della Butterfly» - così venne sottolineato su queste pagine nel resoconto della serata. Pur consapevole della propria grandezza, Gillespie non amava assumere atteggiamenti divistici, eppure quella volta riuscì a mandare in tilt il personale dell’Hotel Palace, dove soggiornava, perché non si riusciva a trovare un riduttore di corrente che gli consentisse di usare una specie di frullatore personale che portava sempre con sé da quando era diventato vegetariano. Perché tutto andasse a buon fine, ci volle la pazienza del personale e la collaborazione della cantante Lilian Terry, che essendogli molto amica, lo seguiva come un’ombra quando Dizzy arrivava in Italia.
Comunque sia, arrivò finalmente la sera del concerto, con il Petruzzelli che faceva veramente paura per la quantità di pubblico che la Camerata era riuscita a stipare. E quando, spente le luci in platea, la sua sagoma inconfondibile apparve sul palco e dalla sua tromba telescopica cominciarono a uscire, una dopo l’altra, le melodie di brani come Night in Tunisia, Salt Peanuts, Tin Tin Deo e Olinga - quest’ultimo dedicato a un esponente della religione Bahai, cui aderiva - l’entusiasmo raggiunse livelli difficilmente descrivibili. Per l’occasione, la band al suo seguito era formata da onesti gregari: Ed Cherry alla chitarra, Mike Howell al basso e Tommy Campbell alla batteria. Nulla a che vedere con i partner del passato, per intenderci, ma gli appassionati ebbero molto presto l’occasione per rifarsi. Elettrizzata dal successo riscosso, la Camerata reinvitò Gillespie a novembre dello stesso anno e in quell’occasione era con lui il grande tenorsassofonista James Moody. Il solco del grande jazz ormai era stato tracciato.