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Taranto, quella notte nella rada del Mar Grande quando gli inglesi affondarono la corazzata Cavour

Taranto, quella notte nella rada del Mar Grande quando gli inglesi affondarono la corazzata Cavour

 
Gaetano Appeso

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Gaetano Appeso

La testimonianza di Carolina: «Eravamo in casa con mia mamma e i miei fratelli. Papà era a combattere in Albania. Quando sparava la mitragliatrice sopra al castello, tremava tutto»

Sabato 11 Novembre 2023, 10:52

Resta ancora indelebile nei ricordi dei nostri anziani l’immagine della poderosa corazzata Cavour, orgoglio della flotta italiana, semisommersa nella rada del Mar Grande. Era il 12 novembre del 1940 e quel nefasto avvenimento viene ricordato ancora oggi come “La Notte di Taranto”.
I piani inglesi per un attacco aereo alla flotta della Regia Marina di stanza nella base navale di Taranto risalgono al 1935, durante la guerra tra il Regno d’Italia e l’impero di Etiopia, per difendere e tutelare gli interessi britannici nel Corno d’Africa, ma a quella operazione non fu mai dato seguito. Il progetto dell’incursione aerea su Taranto, però, fu riproposto sul tavolo degli strateghi inglesi pochi mesi dopo l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale e in risposta alla fervente azione delle navi italiane durante la Campagna di Grecia.
“Tutti i fagiani sono nel nido!”
Così commento l’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante in capo della Mediterranean Fleet, alla notizia proveniente dall’intelligence britannica, secondo cui l’11 novembre anche l’ultima corazzata italiana aveva dato fondo alle ancore nella baia del Mar Grande a Taranto.
L’Operazione fu chiamata “Judgment” (Giudizio) e pianificata nei minimi dettagli dallo stesso ammiraglio Cunningham, in stretta collaborazione con il contrammiraglio Lyster, riconosciuto esperto di tattica aeronavale, con l’obbiettivo di mettere fuori combattimento le principali unità nemiche nel Mediterraneo. La data del 21 ottobre, inizialmente scelta poiché ricorreva il 135° anniversario della vittoria della Royal Navy a Trafalgar nel 1805 contro la flotta franco-spagnola, fu disattesa a seguito di un’avaria a bordo della portaerei Eagle, tra le unità designate a partecipare all’attacco. Trattandosi di un attacco aereo notturno e volendo approfittare del massimo vantaggio che si potesse ottenere dal campo di battaglia, si scelse la successiva data dell’11 novembre, notte di luna piena.
Nei giorni che precedettero la lunga “Notte di Taranto” la Royal Air Force eseguì numerosi sorvoli sulla base di Taranto, al fine di raccogliere informazioni sui sistemi di contraerea e tracciare la posizione d’ormeggio delle navi. Gli avvistamenti di aerei britannici e lo spostamento di navi nemiche avvistate dai piloti della Regia Aeronautica, che svolgevano attività di ricognizione aerea in Mediterraneo, mise in allarme le Forze Armate italiane che mobilitarono forze navali e aeree in assetto difensivo e offensivo, in particolar modo intorno alla base di Taranto.
A difesa del porto erano poste numerose artiglierie contraeree e gli armamenti in dotazione a ciascuna unità navale; illuminare il cielo notturno sarebbe stato compito di ventidue grandi proiettori, mentre tredici aerofoni avrebbero intercettato eventuali squadriglie aeree in avvicinamento. Ottantasette palloni di sbarramento dovevano interferire con eventuali incursioni dall’alto e a protezione delle navi erano state posizionate reti parasiluri.
Sebbene l’elaborato sistema difensivo tarantino, la sorte voltò le spalle ai marinai italiani: nei giorni precedenti all’attacco, le forti raffiche di vento trapparono le funi e dispersero sessanta palloni di sbarramento e le avverse condizioni meteo non permisero di stendere più di 4200 metri di reti parasiluri, che coprivano fino a dieci metri sotto il livello del mare. Di fatto si aprì un varco per gli aerei e i siluri britannici.
Alle 23:00 dell’11 novembre un bengala illuminò il porto di Taranto e la battaglia ebbe inizio.
Gli aerei inglesi di tipo Swordfish, decollati dalla portaerei Illustrious, attaccarono le navi ormeggiate nella baia di Taranto in due ondate. Una prima proveniente da sud-est sganciò bombe per destabilizzare la contraerea e illuminare le navi italiane, a favore degli Swordfish provenienti da ovest armati di siluri. Alle 23:50 arrivò la seconda ondata e la battaglia aeronavale perdurò fino alle 01:20, quando l’ultimo aereo inglese liberò i cieli sopra Taranto.
Carolina, una testimone dell’evento, ha raccontato:
«Ero piccola e quella notte eravamo in casa con mia mamma e i miei fratelli. Papà era a combattere in Albania. Quando sparava la mitragliatrice che si trovava sopra al castello, tremava tutta la casa».
Giovanni ha raccontato:
«Eravamo a pescare con la barca in mezzo al Mar Piccolo, quando hanno iniziato ad esplodere le bombe abbiamo remato con forza per allontanarci dalle navi e raggiungere l’altro seno, quello interno. Mio padre mi ha atteso tutta la notte, quando sono rientrato aveva gli occhi lucidi, credeva fossi morto. Non lo avevo mai visto piangere».
Tra bombe, raffiche di contraerea, siluri e aerei abbattuti, tre navi da battaglia italiane furono colpite dagli aerosiluranti inglesi e semiaffondate, rispettivamente Nave Cavour, Nave Littorio e Nave Duilio. L’esito dell’incursione fu drammatico: cinquantotto persone persero la vita e i feriti furono quasi seicento.
Le tre navi silurate quella notte furono riportate al galleggiamento nelle settimane successive grazie al paziente lavoro degli arsenali e dei cantieri navali italiani, mentre non tardò ad arrivare la risposta della Regia Marina che forzò la base navale di Alessandria d’Egitto con mezzi subacquei d'assalto e affondò le unità britanniche Queen Elizabeth e Valiant. Ma le azioni valorose non poterono colmare il dolore e le lacrime versate per quei padri, mariti e figli caduti nella drammatica Notte di Taranto.
Dopo l'attacco dell’11 novembre, l'addetto militare giapponese si recò a Taranto con l'incarico di raccogliere informazioni sull’incursione aerea britannica: il Giappone stava segretamente pianificando l’attacco a Pearl Harbour.

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