BARI - La masseria Spina Grande, edificio fortificato che a Monopoli domina il «Parco rurale della Piana degli ulivi», e Castello Marchione, casina di caccia dei conti Acquaviva d’Aragona, feudatari di Conversano, sono due tra le tante location storiche del barese scelte dai cineasti per i set dei propri film.
Tra loro vi è Carlo Ponti (Magenta 1912-Ginevra 2007) il famoso produttore cinematografico, marito dell’attrice Sophia Loren, tra i primi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso a scoprire le «masserie da film» e le residenze fortificate che impreziosivano il territorio pugliese e trasformò in set di tanti film di successo.
C’è una data in particolare che segna l’inizio di quella che negli anni diverrà una consuetudine per la Puglia: la produzione di pellicole tra le mura di edifici secenteschi e settecenteschi.
È il 13 luglio 1974. A quella data è legato l’inizio delle riprese di una commedia sexy, «Cugini carnali», del regista Sergio Martino, un vero evento per il territorio. L’arrivo del cineasta lombardo, reduce dai trionfi hollywoodiani e che in quello stesso anno produsse «Il viaggio», capolavoro di Vittorio De Sica, fu salutato con entusiasmo sia per la scelta di girare un film nel barese che per l’interesse di Ponti per la Puglia.
Attratto dai luoghi (il lungometraggio fu girato a Conversano, Monopoli nel barese; a Lecce, Nardò e Porto Cesareo nel Salento) e mosso da spirito imprenditoriale, Carlo Ponti incontrò in quella circostanza numerosi amministratori locali per verificare la possibilità di investire nel cinema in Puglia e creare un indotto.
Suo «ambasciatore» fu il compianto attore barese Riccardo Cucciolla (1924-1999) che molto si spese per questa causa e creò le premesse per l’approdo in Puglia di altre case cinematografiche e per la produzione di altri film e fiction (allora denominate «sceneggiati»). «Quella esperienza - ricorda Alfredo Pea, attore protagonista in “Cugini carnali” - in realtà fu una prima volta un po’ per tutti: per Ponti che scopriva la Puglia, per me al settimo cielo per il primo contratto che mi permetteva di entrare nel mondo del cinema dalla porta d’oro, e per tanti colleghi e colleghe».
Che film fu «Cugini carnali»?
«Una pellicola, così si diceva una volta, che rientra nel filone della commedia sexy all’italiana, tratta da un romanzo. Io - spiega Pea -, appena ventenne, fui scelto per recitare la parte di uno studente liceale che dopo l’imprevisto incontro con una cugina americana venuta a Roma sia per le vacanze che per seguire le lezioni di latino e greco di mio padre preside di liceo, viene sedotto e vive la sua prima esperienza amorosa».
Quella ragazza, estroversa e anticonformista per quei tempi, siamo negli immediati anni del post-68 (l’anno delle lotte studentesche e degli stravolgimenti sociali) porta scompiglio in un paese di provincia, legato al moralismo diffuso nella società degli anni Settanta, in cui si insinua anche il dubbio di un tradimento coniugale e della paternità del parroco della chiesa, del quale il ragazzo sarebbe figlio naturale.
L’adolescente scelta per interpretare la cugina americana fu Susan Player. «Anche per lei, bellissima modella statunitense che qualche anno dopo sposò il celebre cantante jazz americano Al Jarreau - continua l’amarcord di Alfredo Pea -, quel film fu un trampolino di lancio. Ma non ci fu solo Susan, tutto il cast era stellare. Dall’attore gallese Hugh Griffith, allora anziano e famoso per aver recitato in “What” di Roman Polansky, all’indimenticato Riccardo Cucciolla che nel film recitò la parte di mio padre, preside e professore di latino».
Come fu il suo rapporto con Cucciolla?
«Conobbi, quella volta, una persona straordinaria. Riccardo fu, per me allora ventenne che si formava sul campo e sognava un futuro nel grande cinema, un vero padre, sul set e fuori. Mi dispensava consigli, anche sentimentali. Io ero alle prime armi ed ero già entrato a far parte della squadra di Carlo Ponti, una esperienza che avrebbe destabilizzato chiunque. Ma fu grazie a lui, al regista Sergio Martino e a Ponti stesso, che l’approdo nel grande cinema fu per me dolce. Ponti fece in modo che prima di definire il cast, per tutto il mese di agosto provassi con diverse attrici, allora poco conosciute. Parlo di Monica Guerritore, con cui ho ricordato quella esperienza in un evento recente, la sorella di Mia Farrow, la giovanissima Dalila Di Lazzaro. Erano tutte artiste sotto contratto con Ponti, che alla fine scelse come mia partner questa modella americana, scoperta leggendo Penthouse».
Pea confessa: «Quel film girato in Puglia mi consentì di scoprire altro ancora».
Cioè? «La fantastica vostra terra, che mi ha stregato con la sua luce, il clima, il paesaggio, le dimore storiche, il cibo, i volti e la gente ospitale. Sono quarantanove anni che lavoro nel mondo del cinema e dal 1974 la Puglia è diventata davvero casa mia. Ho tanti amici pugliesi, vi ritorno spesso, di recente ho girato le scene di alcune fiction per la televisione. L’ultima, quattro anni fa, è stata la serie “Il sistema”, diretta da Carmine Elia, con Claudio Gioè (prodotta da Rai Fiction con la collaborazione di Apulia Film Commission e trasmessa in prima serata su Raiuno, ndr)».
La cosa che ricorda più volentieri di quella esperienza del 1974?
«Tutto. Ma non dimenticherò mai i calessini e i cavalli bianchi. Me li fece scoprire Carlo Ponti in quei giorni di 46 anni fa che segnarono davvero il mio ingresso dalla porta d’oro nel mondo del cinema, dopo le prime esperienze, a 18 anni, quando presi la parte di poco più di una comparsa al film di Francesco Maselli sul movimento studentesco “Roma 70”».
Erano gli anni della contestazione, l’attore romano frequentava l’Istituto d’arte «che lasciai - ricorda - per il corso di arti sceniche tenuto da Alessandro Fersen. Fu quella volta che incontrai il regista Marco Bellocchio. Preparava “Nel nome del padre” e mi offrì un piccolo ruolo. Intanto facevo provini per la Rai e per il cinema e appena un anno dopo eccomi protagonista in “Cugini carnali”. Dopo il successo di quella pellicola, la Medusa mi scritturò per ben altri cinque film: il primo con Edwige Fenech, “L’insegnante”, fece un botto. L’incasso all’epoca fu di tre miliardi di lire. Poi entrai nel cast de “L’Agnese va a morire” di Giuliano Montaldo, in quello di “Caro Michele” di Mario Monicelli e via via in numerose coproduzioni spagnole e americane. Intanto per la Rai interpretavo il protagonista di “Dramma d’amore”, un grande sceneggiato come si diceva all’epoca, e molti altri ruoli in importanti produzioni, come “La piovra”, “Incantesimo”, “Orgoglio” e, per Mediaset, i più recenti “Ris”, “Il capo dei capi”, “Squadra antimafia”. Sono stato davvero fortunato. E con orgoglio rammento che tutto è cominciato da quella prima commedia girata nell’accogliente e solare Puglia».