6 febbraio: giornata mondiale per l’eliminazione a “tolleranza zero” delle Mutilazioni genitali femminili”, uno scandalo basato su tradizioni tribali, sull’ignoranza che perpetuano l’offesa, soprattutto alla stessa dignità della donna. Almeno 200 milioni di ragazze e donne viventi (dati di 31 paesi) hanno subito mutilazioni genitali femminili. Fonti OMS parlano di “100-140 milioni di donne che hanno subito una forma di mutilazione genitale”. Ma statistiche più allarmanti parlano di una donna su 4 – poco meno di 52 milioni di ragazze, nel mondo – che avrebbero subito queste mutilazioni da parte di personale sanitario retribuito.
E - notizia inquietante – sono le adolescenti che ne rappresentano la maggior percentuale (due volte di più). Questo denuncia un incremento del rituale ed una maggiore disponibilità della medicina ufficiale specie in Paesi occidentali sede di emigrazione. Guidano la classifica delle mutilate il 90% delle ragazze in Gibuti, Guinea, Mali, Somalia, Egitto, Eritrea, Sierra Leone, Nord Sudan dove, inoltre, le infibulazioni sono praticate in età sempre più giovane (in Kenia, per esempio, l’età è scesa, tra fine del secolo scorso ed oggi, dai 12 ai 9 anni). La prevalenza del fenomeno varia molto da regione a regione in rapporto alle appartenenze etniche delle popolazioni.
L’ infibulazioneha lo scopo di restringere l'orifizio vaginale più o meno associato anche a un'escissione. Facili e frequenti le complicazioni infettive e le cicatrici retraenti con conseguenze che aggravano il dolore nei rapporti sessuali, nel flusso mestruale, nella minzione (a volte, goccia a goccia), l’estetica. Il Italia (oltre 2.000) e in altri Paesi più sensibili al problema queste ragazze e giovani sono sottoposte – quando il danno è riparabile – ad intervento chirurgico di ricostruzione plastica (si usa, tra l’altro, del grasso prelevato dalla stessa persona) assunto dal SSN. Non sempre, però, l’intervento è gradito e, a volte, la stessa donna lo rifiuta. Prevale, in loro, l’ “educazione” tradizionale. Negli ultimi 20 anni, la percentuale di ragazze e donne che si sono opposte alla pratica è raddoppiata. La lotta deve basarsi soprattutto sulla comunicazione, sull’educazione, sulla lotta senza quartiere a povertà, disuguaglianze, ignoranza (analfabetismo), guerre e lotte. “Questi traguardi ora affrontano una sfida senza precedenti. Le azioni globali devono mantenere questi passi avanti e costruire su anni di progressi per porre completamente fine a questa pratica dannosa. (Natalia Kanem, direttore generale UNFPA e Catherine Russell, direttore generale dell'UNICEF)

















