In Italia, 1 minore su 5 è affetto da un disturbo neuropsichiatrico - circa 2 milioni - con importanti conseguenze sulla salute mentale . Nel mondo, 1 adolescente su 7 (circa 166 milioni tra i 10 e i 19 anni) ha un disturbo mentale diagnosticato e oltre il 50% delle patologie psichiatriche esordisce prima dei 14 anni di età e l’80% prima dei 19 (OMS). In Europa, 1 bambino/adolescente su 3 non riesce ad accedere a cure adeguate. Ma, in materia, minori sono gli investimenti, specie per bambini e ragazzi. In Italia, ansia e depressione rappresentano il 40% dei disturbi mentali diagnosticati. Tra il 2018 e il 2022, a livello mondiale, il tasso di disturbi multipli di salute negli adolescenti è aumentato, specie tra le ragazze, mentre la prevalenza di ansia e depressione tra gli under 20 anni risulta in crescita di circa il 20% (OECD 2025).
La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza, sottolinea l’importanza di intervenire precocemente già in età evolutiva, ben prima dei 14 anni, e di favorire e garantire la continuità di cura per tutti i disturbi del neurosviluppo e di salute mentale verso l’età adulta, mettendo al centro la persona, la sua famigliae i suoi bisogni. “Dobbiamo sfatare il falso mito che la prevenzione cominci a 14 anni” (prof. Elisa Fazzi, Presidente SINPIA). Lo situazione è aggravata da facile e diffusa comparsa di stigma (stereotipi negativi, pregiudizi e comportamenti di rifiuto e discriminazione che una persona o gruppo riceve a causa di una caratteristica o condizione, facendolo sentire emarginato e diverso dalla norma sociale, creando esclusione e vergogna) che colpisce la persona che finisce con l’ identificarsi con l'etichetta negativa e sentirsi inadeguata, rifiutata dalla comunità, trovando difficoltà nel reinserimento lavorativo e sociale ed è discriminazione e isolamento (autostigma).
A Rovereto (TN), nel “Mart”, l’Associazione Anna e Luigi Ravizza ha dedicato una giornata per capire che cosa funzioni davvero contro lo stigma in salute mentale. In Italia circa il 30% delle persone seguite nei servizi, vive forme clinicamente rilevanti di autostigma: la persona interiorizza i pregiudizi sociali e li rivolge a sé e questo frena richiesta d’aiuto, aderenza e ritorno a un ruolo sociale. “L’auto-stigma è ostacolo significativo sulla strada della cura e della possibile ripresa ed è una trappola mentale che condiziona identità e scelte con disturbi ed impatto negativo su diagnosi, aderenza e qualità di vita (prof. Antonio Lasalvia, università di Trento).
“Parlare di stigma significa cambiare sguardo, non slogan perché – dice la presidente Crespi – il pregiudizio isola, ritarda le cure e indebolisce i diritti;… portare le evidenze tra le persone è il passo che consente a pazienti, famiglie e servizi di camminare davvero insieme”. Lo stigma verso queste persone ed il loro autostigma è barriera concreta a diagnosi tempestive, cure appropriate e inclusione sociale. È un fenomeno strutturale, pubblico, interno che riguarda anche familiari e professionisti. “Dare un nome ai pregiudizi aiuta a vederli e poi a cambiarli. Solo ciò che si misura si può migliorare e il contatto reale è ciò che rende normale parlare di salute mentale trasformando la consapevolezza in comportamenti inclusivi”.