In Puglia e Basilicata
Immagini
02 Maggio 2022
Michele Partipilo
Da settimane siamo bombardati da immagini di guerra che ogni giorno diventano sempre più forti. All’inizio furono solo i volti dei bambini spaesati, costretti a partire in fretta e furia. In braccio alle madri, nei carrozzini, mano nella mano con la nonna. Raccontavano la fuga verso posti più sicuri, fuori dall’Ucaina. Ma negli occhi tristi e spesso bagnati di lacrime si leggeva anche quella domanda che nessuno aveva il coraggio di farsi: perché? Poi foto e filmati, seguendo l’escalation della guerra, si sono fatti sempre più espliciti e impressionanti: soldati feriti, malati moribondi, partorienti in barella. Fino ad arrivare ai corpi mitragliati per strada: non combattenti, ma inermi civili che tentavano di fuggire verso luoghi più sicuri. A testimoniarlo, i trolley , i peluche dei bambini e il cestino con il gatto. Tutti uccisi all’alba di una livida giornata. In tanti hanno pianto davanti a quelle immagini così crude e violente. Ma non era finita. Sono arrivati filmati e foto di corpi carbonizzati dagli incendi o di resti ripescati dalle fosse comuni. Gli invasori non si sono fermati davanti a niente, ma neppure i reporter e i media che ne hanno diffuso i materiali. «Il dovere della cronaca, abbiamo denunciato l’atrocità della guerra», è stato il leitmotiv giustificativo di qualche direttore messo sotto accusa o di fotografi e cineoperatori criticati.
Il nobile mantello della denuncia e dunque dell’impegno civile ha coperto e legittimato quelle immagini impressionanti e raccapriccianti. Sì, proprio come le definisce la legge, la vecchia legge sulla stampa scritta dagli stessi costituenti, che ne vietarono la diffusione. Quella norma non nasce dal nulla, ma è il prosieguo ideale e tecnico dell’articolo 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di espressione per tutti. Vi è posto un solo limite: il buon costume. Così recita il quinto comma: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume». E il rispetto del buon costume è proprio il concetto cui rimandano la legge sulla stampa e gli articoli 528 e 529 del codice penale, che in concreto definiscono il reato e ne fissano le sanzioni. Il «buon costume» è una nozione elastica, che si adegua ai tempi e alla storia. In passato era strettamente legata alla morale sessuale. Era il freno che bloccava scene di nudo in tv o parolacce e bestemmie. Oggi il turpiloquio è all’ordine del giorno e francamente non sembra una grande conquista di libertà, piuttosto un impoverimento del linguaggio, ormai appiattito sul genitalese.
Nel buon costume i giudici intravedono sempre più il concetto di dignità, di rispetto della persona per quello che è. Guarda caso la dignità è il bene cui dovrebbero far riferimento tutti gli operatori dell’informazione nel loro lavoro. Codici etici e norme deontologiche puntano tutto su questo. La dignità, come l’onore e la privacy, si conserva anche dopo la morte degli interessati. I giornalisti fingono di non saperlo e si accaniscono a riprendere quei corpi già martoriati dalle bombe e dalla ferocia degli uomini. Dimenticano che un conto è informare e un conto è improvvisarsi medici legali, trasformando ogni articolo in un referto necroscopico. Così non si offende solo la dignità di quelle vittime impossibilitate a difendersi e a farsi difendere, ma si uccide anche la pietà. Quel sentimento che ogni uomo o donna dovrebbero provare di fronte alla morte dei loro simili.
Ma la morte l’abbiamo rimossa dal nostro orizzonte culturale e spirituale, ne rimane solo la narrazione, lo spettacolo, la tragedia. Una guerra serve bene a questo, poiché le ragioni della cronaca e della ricerca della verità sembrano un buon motivo per mostrare immagini sempre più violente e impressionanti. Come se la loro diffusione potesse fermare il conflitto. Invece ne fa un film horror, che se fosse tale sarebbe vietato ai minori, invece giornali e tg sono alla portata di tutti. L’importante alla fine è fare audience, se decenni fa bastavano le gambe delle Kessler o l’ombelico della Carrà, oggi funziona meglio un corpo ucciso in un bombardamento.
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