Da settimane i giovani iraniani protestano contro il regime. Ieri si sono aggiunti anche gli operai di un importante impianto petrolchimico. Tutto è cominciato dopo che una ragazza - Mahsa Amini – è morta in carcere dopo essere stata arrestata dalla «polizia morale» perché non aveva indossato bene il velo islamico. Così sono cominciate le proteste, gli scontri, le retate, in un crescendo di violenze. Un’altra ragazza, sfidando ogni sorta di divieto e pericolo, è salita sul tetto di un’auto e si è tagliata i capelli in pubblico. È stata uccisa anche lei dalla polizia. Quel gesto di disobbedienza civile – tagliarsi i capelli in pubblico – è diventato l’icona della rivolta. La situazione in Iran sta precipitando non solo per l’insostenibile regime morale imposto dagli ayatollah, ma perché la gente è alla fame.
Il Paese potrebbe vivere molto meglio per le ricchezze che possiede, ma da decenni ha fatto la scelta di aiutare il terrorismo, di fomentare i conflitti in tutta l’area, di costruirsi la bomba atomica. Il tutto in assenza di libertà e violazione continua dei diritti civili. Sono le ragioni per cui è finito nella lista nera, isolato a livello internazionale, sottoposto a un duro embargo commerciale. In Italia, come in altri Paesi, dell’Iran si conosce poco. Le notizie viaggiano attraverso la Rete e i filmati girati con i telefonini, fatti arrivare sui siti occidentali grazie a mille astuzie tecnologiche. Così abbiamo appreso delle ragazze uccise, degli arrestati, dei torturati in carcere. Naturale e giusto che scattasse la solidarietà internazionale, ci mancherebbe.
Ma come si è manifestata questa solidarietà? Con il taglio di una ciocca di capelli davanti alle telecamere. Hanno cominciato le star di Hollywood, seguite da chiunque per una qualsiasi ragione si trovasse di fronte a una telecamera. Anche in Italia è scattata la protesta tricologica. Abbiamo visto di tutto: da Antonio Tajani a Fabio Fazio, da Giovanna Botteri a Belen Rodriguez, da Serena Bortone a Luciana Littizzetto e l’elenco potrebbe continuare. Tutto molto edificante, soprattutto per chi compie il gesto e che ritiene così d’aver fatto la sua parte nella lotta per la libertà di un popolo oppresso. Ma il taglio di una ciocca di capelli ripetuto più e più volte e trasmesso altrettante volte rende banale il gesto, chi lo compie diventa ridicolo agli occhi dei telespettatori. È la logica dei media, dove ogni ripetitività toglie una parte di senso all’immagine. Il nostro cervello è bombardato ogni giorno da migliaia di foto e di video e deve compiere sforzi notevoli per associare dei concetti a dei «contorni». Se ciò che vede lo colpisce, per la novità, per la violenza, per i colori, allora associa più facilmente un’immagine a un significato e a un contesto.
Ma se il processo diventa ripetitivo, quell’immagine andrà via via sfocando nella nostra mente e scenderà sotto la soglia di vigilanza. Perché si ripristini il meccanismo dell’attenzione è necessario che ci sia un’immagine più forte: per esempio, il Papa che si taglia una ciocca di capelli. Ma anche questo gesto, se venisse trasmesso e ritrasmesso, come accadrebbe nell’ipotesi che davvero Francesco si tagliasse un ciuffetto di capelli, perderebbe di senso e di realismo. Diventerebbe come un cartone animato alla Tom & Jerry, in cui se le danno di santa ragione, precipitano da altezze incredibili, ma sono sempre vispi e pimpanti. È il tipico caso in cui l’immagine si limita a raffigurare i contorni di un oggetto o di una persona staccandosi da tutti i concetti che da quella immagine possono scaturire. È la stessa ragione per cui alcuni filmati, se trasmessi e ritrasmessi, possono istigare a comportamenti analoghi: perché chi guarda perde il senso delle conseguenze che si avrebbero rifacendo in prima persona quanto visto sullo schermo. Se vedo e rivedo la scena di un furto, alla fine mi convincerò che posso farlo anche io perché quella reiterazione mi porterà piano piano a cancellare ogni remora morale, ad annullare ogni freno. Purtroppo viviamo in un’età in cui il massimo della fantasia è dato dall’imitazione di ciò che fanno gli altri e questo soprattutto nei media.
Per esempio, oggi molti telegiornali non hanno più solo il conduttore in studio, ma ospitano colleghi, esperti, volti noti per affrontare un certo tipo di notizia: l’ha fatto il Tg1, l’hanno seguito gli altri. Ma lo stesso vale per la carta stampata. Per convincersene basta guardare i quotidiani di ieri: tutti con servizio fotocopia sui parlamentari neoeletti andati a registrarsi a Camera e Senato.
Notiziabilità? Poco più di zero. Originalità? Zero. Utilità? Sotto zero. Per tornare all’Iran, allora. Bisognerebbe fare qualcosa di più serio e concreto oltre che l’appagante gesto solidale di tagliarsi i capelli in tv. I media – cioè giornalisti e giornaliste – potrebbero tenere accesi i fari sulle condizioni di vita in quel Paese e non limitarsi a parlarne solo quando una povera ragazza viene uccisa. Questo modo di «bruciare» le notizie inseguendo fatti sempre più forti e nuovi rende l’informazione superficiale, ansiogena ed episodica. E se si lasciano distrarre ogni giorno dalla novità, come fanno i giornalisti a concentrarsi sul potere per esserne i cani da guardia?