Ci sono hotel che fanno parlare di sé, per la qualità del servizio, per la bellezza degli arredi, per la bontà della cucina e chissà cos’altro.. E ci sono hotel che fanno destinazione, quelli che agiscono sull’immaginario collettivo con una fascinazione che trascende i luoghi e i periodi della vacanza.. E ciò non dipende solo da un aspetto puramente estetico, quanto piuttosto intimo, legato all’anima, al ricordo, all’evocazione.
Si potrebbe costruire una voce a sé per integrare questo genere, di cui fa senz’altro parte il Grand Hotel di Rimini.
La Dolce vita è diventata patrimonio di memoria del nostro Paese scivolando sull’acqua della romanissima Fontana di Trevi, tra il generoso décolleté di Anita Ekberg e lo sguardo scanzonato e pieno di passione di Marcello Mastroianni. Ma essa era già nata nella mente geniale di Federico Fellini, il Maestro, con una gestazione lunga, accompagnata da pomeriggi di riflessione nei giardini liberty del suo amato Grand hotel di Rimini. Quello che lo faceva sognare.
Un hotel in puro liberty dichiarato monumento nazionale dal 1994 e protetto dalla Sovrintendenza delle Belle Arti, inaugurato ufficialmente il 1° luglio del 1908. Ha già compiuto i suoi 110 anni ed ha scandito un pezzo di storia del nostro Paese, insieme alla gente che qui ha vissuto il meglio, nell’avveniristica ed eccitante riviera romagnola.
La nuova proprietà ha operato una consistente ristrutturazione, avendo cura di non spersonalizzare questo hotel così iconico, fatto di 168 camere di cui 15 suite, con un’aria d’altri tempi che contagia il presente. L’ingresso appare sacrificato rispetto alla sontuosità dei suoi spazi. L’effetto meraviglia esplode nella hall dalle vaste vetrate che affacciano sul Parco Fellini. Il Maestro aveva una suite sempre prenotata, tanto che ancora oggi quella stessa suite conserva il suo nome.
Quante discussioni con i colleghi del mondo del cinema, quante chiacchierate sotto i glicini nel parco, quante passeggiate e palpitazioni pensando a dive ed amate. Lì, nel parco del Grand Hotel, dove Federico amava tornare.
Anche l’amicizia con Sergio Zavoli, nato a Ravenna ma cresciuto a Rimini, attraversò a tratti questi luoghi. Del resto anche Zavoli amava la città natale del suo amico regista, ne aveva assorbito l’essenza e con Fellini era un continuo confrontarsi, finanche a volte a discutere aspramente. Due forti personalità, due grandi amici destinati via via, per i loro caratteri titanici, a perdere la piacevole consuetudine della frequentazione.
Una storia, quella del Grand Hotel, che non potrà mai separarsi dal Maestro. L’uno e l’altro sono indissolubilmente legati: il regista indimenticabile e il palazzo liberty dei ricchi e famosi.
Del Grand Hotel Fellini gradiva soprattutto i sapori. Ottima forchetta, amante della «cucina di casa», aveva le sue preferenze di cui l’intero staff dell’hotel era a conoscenza.
È così che oggi si può ancora ordinare il «menu Fellini»: i piatti preferiti del Maestro sono rimasti impressi come cera, tramandati di generazione in generazione. Fellini amava assaporare gli stessi piatti, al Grand Hotel si può vivere questa esperienza emozionale: provare lo stesso piacere che provava il regista di Amarcord, magari davanti al suo adorato brodetto di pesce.