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Perché è fondamentale congedarsi dall’infanzia

 
Lisa Ginzburg

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Lisa Ginzburg

Grazie Chiara Ferragni: con quel «Pensati Libera» sei diventata una di noi

Il monologo della Ferragni a Sanremo. La libertà adulta

Sabato 11 Febbraio 2023, 09:09

La frase più criptica del monologo che l’influencer Chiara Ferragni ha tenuto nella prima serata del Festival di San Remo resta per me quella che recita: «perché quando ho pensato qualcosa di negativo su di me l’ho pensato anche di te, e tu non lo meriti». Il «tu» sarebbe la bambina che la Ferragni è stata, e sulla trovata di rivolgersi a questa immaginaria se stessa in miniatura lei ha impostato l’intero monologo. Ha scelto di parlare alla propria infanzia con i toni di tenerezza e amore che si devono al proprio passato, di rivolgersi alla parte teoricamente più vulnerabile di noi stessi, quella che pertiene a quando eravamo bambini. E così parlandosi, parlare al pubblico, un pubblico già molto bendisposto (inutile dire altro di Chiara Ferragni, giovane donna peraltro molto stimabile specie per l’impegno civile cui ha saputo subordinare la propria visibilità negli ultimi tempi, in diverse occasioni e per diverse cause).

Da parecchi anni, manuali di autostima, trattati di sedicente evoluzione e maturazione psicologica, terapie psicologiche basate sull’ipnosi regressiva, prontuari di tecniche le più varie per stare meglio nel mondo, hanno pagine infarcite del ricorrente tema del «bambino interiore».

L’idea è semplice, e si comprende perché tanto di successo (oltre che semplice, ammantata di dolcezza). Per amarci meglio, volerci più bene e così campare senza troppi patemi, ovvero essere più dignitosi, sereni, sempre dentro relazioni equilibrate e pronti a evitare rapporti tossici, che possono ferirci o danneggiarci, dobbiamo saper riandare all’indietro, in una sorta di auto anamnesi che riportandoci ai primi anni della vita ci renda infine amorevoli nei nostri propri confronti, sorta di accudenti genitori della nostra parte «bambina», quella che nella vulgata comune è parte più ferita, nuda, esposta. Idea semplice quanto fuorviante, perché bambini non lo si è più. Anzi, proprio nel guarire dall’infanzia consiste e si condensa la migliore strada di maturazione di un essere umano. Scrivo «guarire» non perché l’infanzia sia una malattia, giammai: insieme a tante, tantissime infanzie disfunzionali ce ne sono per fortuna molte altre felici, serene, riempite di amore. Piuttosto, «guarire» nel significato di prendere congedo: smettere di riconnettere tutto all’età bambina, e avere il nerbo di trovare e praticare un modello adulto di autostima al femminile (su questo verteva il monologo di Ferragni, sulla fierezza e contentezza di sé e della propria libertà che una donna può e deve provare verso se stessa).

Un modello adulto non ha bisogno di ricorrere a nessuna figura infantile: basta a se stesso. Può rapportarsi transitoriamente all’infanzia, evocarla, ma senza maternalismo, come invece trapela da quel «tu non te lo meriti» nel monologo che concepito per parlare alla supposta Chiara Ferragni bambina. Non è essere bravi genitori del noi stessi che eravamo e non siamo più, il punto. Non è in queste forme di genitorialità surrogata perché inventata che si conquista il traguardo di una sana autonomia e libertà di donna adulta, alle prese con la vita, con il lavoro, l’amore, l’esser madre di figli veri, cioè di bambini in carne e ossa. Piuttosto, l’emancipazione e l’affermazione di sé passano dal contrario, da un congedo dall’infanzia, da un dire a sé stessi: «è andata così, ma vado oltre». I bambini che siamo stati, sapere guardarli con affetto ma senza indugiare. Chissà perché, invece, in nessun manuale psicologico così come in nessun tema ricorrente nella retorica diffusa (compresa quella del Festival della canzone italiana, evento mediatico più importante dell’anno in Italia da molti punti di vista, anche troppi) si parla della vita adulta. Mai, o quasi mai, ci si muove da presupposti maturi, che non conoscono enfasi, sono lucidi, sobri, e in sobrietà e lucidità trovano misura e forma. Mai si dice del valore liberatorio della maturità, età della vita di grande spessore, appesantita da responsabilità e molti obblighi sociali e personali certo, ma anche rallegrata dal sollievo di tanti congedi maturati nel tempo, nell’intimo di sé salutato con molto amore il bambino che si è stati, ma anche mettendolo a dormire, ben rincalzate lenzuola e coperte, riposare il suo sano necessario sonno. Un sonno che è un’uscita di scena, così da lasciar spazio a un’altra età, dove la presa in carico di sé stessi non necessita di figure «altre», metaforiche o salvifiche. E una donna nel 2023 in Italia, come in tutto l’Occidente, dovrebbe «pensarsi libera» senza necessità di mettere in gioco una bambina che è stata, e che in nessun modo è più.

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