MANDURIA - Maglietta rossa, giubbotto scuro, capelli ricci e sguardo dritto. C’era anche Vincenzo Stranieri, il boss di Manduria conosciuto come «Stellina» nell’aula Alessandrini del tribunale di Taranto per la prima udienza che lo vede accusato di rapina, ma soprattutto che vede suo nipote 20enne Vincenzo D’Amicis accusato, insieme ai due coetanei Domenico D’Oria Palma e Simone Dinoi, del brutale omicidio di Natale Nasser Bathijari, il 21enne picchiato, accoltellato e infine lasciato morto nelle campagne di Manduria nella notte tra il 22 e il 23 febbraio dello scorso anno.
Il boss di Manduria, che ha trascorso più anni al 41bis di qualunque mafioso italiano (dal 1992 al 2021) era seduto tra il pubblico a seguire la prima battaglia tra il pm Milto De Nozza, che ha coordinato le indagini dellla Squadra Mobile di Taranto guidata all’epoca dal vice questore Cosimo Romano, e il collegio difensivo composto tra dagli avvocati Armando Pasanisi, Franz Pesare, Michele Iaia e Massimo Chiusolo. Stellina ogni tanto scambia due parole con il suo difensore, l’avvocato Lorenzo Bullo: segue con attenzione le richieste dei difensori che chiedono nuovamente il rito abbreviato per evitare un ergastolo che sembra quasi certo. E ascolta anche il suo legale quando presenta anche alla corte la richiesta di una perizia medica che possa valutare la sua capacità di esprimersi dopo un intervento a cui è stato sottoposto: l’accusa per lui è di aver minacciato e sottratto l'auto alle due ragazze che quella sera avevano accompagnato la vittima da Lecce a Manduria. Il pm De Nozza replica punto su punto. La Corte d’assise, presieduta dal giudice Filippo di Todaro e a latere Loredana Galasso, si ritira in camera di consiglio e poi torna in aula: tutte le richieste sono rigettate. Il rischio dell’ergastolo per il rampollo della sua stirpe è sempre più concreto. Stellina, però, non si scompone. Resta seduto fino a quando il presidente Di Todaro chiude questo primo atto e rinvia all’udienza di febbraio. Il vecchio boss, si alza e lentamente raggiunge l’uscita facendo attenzione a non urtare le telecamere delle emittenti regionali giunte a seguire il dibattimento.
I tre principali indagati, collegati in video conferenza dai diversi istituti penitenziari in cui sono rinchiusi, tornano in cella. Sono accusati di aver ucciso il 21enne per una partita di droga che non avrebbero pagato al fornitore, il fratello della vittima Suad Bahtijari. Proprio lui aveva inviato Nasser nel centro messapico per recuperare il credito. Ma nel bar Bunker il 21enne ha trovato la morte: ha urlato mentre veniva pugnalato, ma nessuno si è azzardato a dare l’allarme. Nessuna, secondo gli inquirenti, ha osato sfidare la dinastia del clan Stranieri che ormai «da generazioni comanda e impera». Un brutale omicidio con metodo mafioso e crudeltà secondo l’Antimafia di Lecce: un’azione compiuta per lavare con il sangue lo sgarro ricevuto.