Sabato 06 Settembre 2025 | 14:56

Fondi dal decreto «Salva Ilva», anche l’indotto batte cassa

 
Giacomo Rizzo

Reporter:

Giacomo Rizzo

Bernabè: «Sarò presidente dell'Ilva»

Franco Bernabè

Invitalia pronta a erogare il finanziamento. In ballo ci sono 680 milioni

Mercoledì 15 Febbraio 2023, 13:09

13:13

TARANTO - Come saranno utilizzati i 680 milioni di euro previsti dall’ultimo decreto Salva-Ilva? Queste risorse rischiano di essere polverizzate dal pagamento dei debiti verso i fornitori energetici, ma ora sono le aziende dell’indotto a battere cassa e a reclamare il ristoro dei crediti. Per questo chiedono ad azienda e governo che almeno parte di questi fondi sia impiegata per tutelare le imprese dell’appalto che hanno garantito la prosecuzione dell’attività produttiva del Siderurgico anche a fronte dei sistematici ritardi nel pagamento delle fatture da parte del committente. Sono 146 le ditte messe alla porta nel novembre scorso che attendono la ripresa dei cantieri e degli ordini. Acciaierie d’Italia aveva peraltro indicato il 16 gennaio come termine della sospensione. Il valore delle forniture non pagate ammonta a oltre 100 milioni di euro. Il consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia, sotto la presidenza di Franco Bernabè, ha intanto approvato il contratto di finanziamento con Invitalia, come previsto alla vigilia dell’assemblea. Si tratta proprio dei 680 milioni di euro che dovrebbero consentire all’ex Ilva di far ripartire la produzione e di iniziare a saldare alcuni importanti debitori nei confronti di Eni e Snam e delle imprese dell’indotto. Queste ultime non sono pagate da diversi mesi, non hanno ordini di lavoro ed hanno fatto ricorso alla cassa integrazione. Invitalia, società del Mef, è partner di minoranza di AdI dove detiene il 38 per cento della società mentre ArcelorMittal è in maggioranza col 62.

Invitalia, avendo già avuto l’ok dal Mef, è pronta ad erogare il finanziamento ad AdI consentendole così di alleviare il suo stato finanziario. Sui 680 milioni, fonti vicine al dossier precisano che non c’è mai stato un problema di tasso di interesse e Invitalia non ha mai preteso alcun interesse. L’unico dubbio, si osserva, era che che un finanziamento infruttifero fosse compatibile col decreto legge che parla di condizioni di mercato.

Da ieri è iniziato in Commissione Industria del Senato l’esame dell’ammissibilità dei vari emendamenti presentati, dopo aver terminato il ciclo delle audizioni. Fratelli d’Italia ha proposto un ordine del giorno per «individuare presso Cassa Depositi e Prestiti Spa, all'interno del Piano strategico dedicato al sostegno alle filiere strategiche, gli strumenti finanziari più idonei atti a smobilizzare i crediti vantati dalle aziende esterne nei confronti di Acciaierie d’Italia Spa e supportare in linea generale le piccole e medie imprese (PMI) dell'indotto con idoneo fondo di garanzia istituito con legge di bilancio 2023». Anche i senatori della Lega chiedono con un emendamento all’articolo 1 del decreto, sollecitando che si provveda «in via prioritaria al pagamento delle imprese fornitrici di Acciaierie d'Italia Spa».

Dopo questa fase il testo approderà in Aula al Senato per il voto e poi alla Camera per l’approvazione definitiva. La conversione in legge del decreto dovrà avvenire entro il 6 marzo prossimo. Gli attivisti del fronte no-Ilva stanno organizzando per il 25 febbraio una manifestazione in piazza della Vittoria, a Taranto, per dire no al ripristino dell’immunità penale che definiscono «un condanna a morte». Per il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti «i 680 milioni di euro del governo ad Acciaierie d'Italia serviranno solo a pagare le bollette del gas verso Eni e verso Snam. Non ci saranno, dunque, altri investimenti. E chi pagherà le prossime bollette del gas? E i fornitori? E i debiti verso le ditte dell'indotto?».

In merito all’incontro «a porte chiuse» dei giorni scorsi tra i vertici di Dri Italia, gli enti locali, la struttura commissariale della Zes ionica, Autorità di sistema portuale, Asset e Arpa Puglia, l’ambientalista sostiene che «Bernabè prefigura uno scenario di rilancio dell'azienda che viene sostenuto da Melucci ed Emiliano», ma affinchè «questo scenario si avveri occorre che lo Stato acquisisca la maggioranza e gli impianti sotto sequestro, cosa attualmente impossibile: si configurerebbe come "danno erariale". E allora? Occorre, dal punto di vista di chi sostiene il progetto, convertire in legge il decreto salva-Ilva n.2/2023». Questo, taglia corto Marescotti, «spiega la ragione per cui il nostro sostegno alla magistratura non è condiviso da Melucci ed Emiliano».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)