TARANTO - Da oggi è inibito l’accesso allo stabilimento siderurgico di Taranto a decine di ditte dell’appalto a cui Acciaierie d’Italia ha notificato la sospensione dell’attività per «sopraggiunte e superiori circostanze». L’iniziale numero di 145 aziende sospese, secondo fonti sindacali, si sarebbe un po' scremato in quanto alcune di esse sarebbero state richiamate dal committente riprendendo gli ordini. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che ha chiesto all’azienda «risposte immediate per l'indotto e per i lavoratori» ha convocato per giovedì 17 alle 9.15 il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e per le 12 le organizzazioni sindacali Fim, Fiom, Uilm, Ugl e Usb. Oggi, per il secondo giorno consecutivo, l’Usb sta tenendo un presidio davanti alla portineria imprese dello stabilimento di Taranto. «Tra i lavoratori dell’appalto - sottolinea l'organizzazione sindacale - si percepisce caos: alcune ditte, avvisate, non si sono presentate, altre sono state bloccate all’ingresso, per altre ci sono stop a macchia di leopardo in relazione agli impianti dove svolgono i lavori». L'Usb e gli altri sindacati, da Fim, Fiom e Uilm alle federazioni di categoria Cgil, Cisl, Uil di trasporti, edili e multiservizi, in attesa dell’incontro di dopodomani al Mise hanno deciso di sospendere temporaneamente la mobilitazione che inizialmente era stata programmata per domani e che sarà rimessa in pista nella giornata di lunedì 21 qualora dal confronto col ministro Urso non dovessero ottenere le risposte attese.
«Il governo non può essere sotto scacco, non siamo ricattabili da parte di alcuno. Questo vale per chiunque si confronti con l’Italia». Ed «è chiaro che l'azienda debba tornare sui propri passi». Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, interpellato sulla vicenda dell’ex Ilva, dopo la sospensione dell’operatività di 145 imprese appaltatrici da parte di Acciaierie d’Italia. «Mi aspetto ad ore che l’azienda ci dia un segnale costruttivo rispetto a quello che ha fatto, senza nessun preavviso, nei confronti delle aziende dell’indotto e dei loro lavoratori», aggiunge Urso.
Urso sottolinea la necessita di "riportare nei giusti binari il confronto tra azienda, azionista pubblico e governo». Il ministro evidenzia che «è stata una decisione sorprendente», spiegando di aver avuto «un confronto personale nei giorni precedenti con l’azienda, il presidente, l'ad e con il socio pubblico, ma nessuno mi aveva detto che c'era una decisione di questo tipo»
LA POSIZIONE DI EMILIANO
“Il ministro Urso, con il quale ci conosciamo da tanti anni, è una persona corretta e leale a prescindere dagli orientamenti politici. Credo che non abbia gradito il metodo con il quale Acciaierie d’Italia batte cassa verso il Governo italiano. Evitando di rilasciare dichiarazioni che rendano ancora più complicato il lavoro del ministro, vado a Roma con l’intendimento di avere un chiarimento generale con il Governo, l’ennesimo. Non so quante volte ho parlato dei vari governi italiani e delle loro varie soluzioni rispetto all’Ilva. Il piano della Regione è semplice: innanzitutto fare di Taranto la capitale dell’idrogeno italiano. Ben sapendo che miracoli non esistono, ma nel tempo immaginiamo con l’idrogeno di eliminare qualsiasi emissione nociva dalla fabbrica.
E solo a queste condizioni, possiamo immaginare che Taranto continui per conto dell’Italia a svolgere questa funzione di produzione dell’acciaio. Se invece qualcuno pensa, con la scusa della crisi energetica e delle difficoltà finanziarie, di continuare a far emettere da questa fabbrica sostanze nocive per la salute, sappia che questo sacrificio non può essere portato avanti. Non consentiremo a nessuno di continuare ad abusare della salute dei tarantini nella misura in cui si è certificato con una sentenza di Corte d’Assise, che ha stabilito che qualcuno ha provocato in maniera illegittima la morte di tante persone. Questo è il dato di fatto con il quale il Governo si deve confrontare”.
E’ iniziata in Consiglio regionale della Puglia la discussione di una mozione per la vertenza Acciaierie d’Italia. In Aula è stata presentata una mozione che "impegna il presidente della Giunta regionale, alla luce dell’incontro convocato a Roma dal ministro Urso, a chiedere al governo l’adozione di tempestivi provvedimenti per il rientro delle 145 imprese nel sistema dell’indotto ex-Ilva; ad incentivare e a rafforzare, con ulteriori iniziative e con certezze finanziarie i processi di riconversione tecnologica mirati alla chiusura delle fonti inquinanti dell’ex-Ilva, per garantire la tutela dell’ambiente, della salute e l’avvio della produzione dell’acciaio pulito». La mozione è firmata da tutti i capigruppo e da tutti i consiglieri tarantini.
LE PAROLE DEL VESCOVO SANTORO
«Rivolgo un mio accorato appello al governo perché intervenga con ogni mezzo per mettere al riparo le famiglie dei lavoratori». Monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, affida a Radio Vaticana-Vatican News le sue parole e la sua preoccupazione sull'ennesimo drammatico capitolo che riguarda l’ex Ilva di Taranto, dopo che Acciaierie d’Italia, il principale gruppo siderurgico italiano, ha comunicato, ieri, per «sopraggiunte e superiori circostanze», la sospensione delle attività di 145 ditte dell’indotto, che coinvolgono circa duemila lavoratori, ma che si ritiene svolgano un lavoro ritenuto non essenziale. «La vita è vilipesa - afferma il presule - è vilipesa la dignità delle persone, in particolari dei lavoratori».
«A me interessa la vita e le famiglie dei lavoratori e la loro dignità», precisa mons. Santoro, che si sofferma sulla modalità del licenziamento, avvenuto tramite PEC, che desta in lui, «come in tutta la città una seria preoccupazione e una profonda delusione». La preoccupazione di Santoro è per le "conseguenze incontrollabili che potrebbero svilupparsi». È evidente - spiega ancora - che sono stati disattesi gli impegni presi, con conseguente danno per Taranto e per l’Italia. È stata sempre cercata una soluzione che desse attenzione sia alla cura dell’ambiente, sia alla conservazione del posto del lavoro, adesso sembra che non si dia affatto attenzione all’ambiente, di fatto non abbiamo visto iniziative per una effettiva inversione di rotta nella sostituzione del ciclo completo del carbone, è stata promessa, ma finora non è stata realizzata». Ora si aggiunge anche «questa grave presa di posizione nei confronti dei lavoratori a danno di una città che sente imminente una minaccia di una vera e propria bomba sociale, di uno sconvolgimento sociale». A meravigliare Santoro è poi il fatto che in passato fossero state «promesse innumerevoli risorse per attuare una salvezza capace di coniugare salute, sicurezza e lavoro e che non riusciamo ancora a intravedere».
«Mi sembra proprio molto grave - aggiunge poi - quello che mi preoccupa sono le famiglie». Non ci sono ricette preconfezionate per risolvere il problema, Santoro ne è consapevole, così come si sa che «il problema dello stabilimento siderurgico ha radici lontane, remote e molto complesse». La richiesta è quindi al governo «che intervenga subito», con provvedimenti che "coniughino i due aspetti, la difesa dell’ambiente e la difesa del lavoro». E’ mai possibile, è la domanda che si pone il presule, «che solo gli interessi di una parte abbiano un peso così esclusivo contro la vita della gente?» Dopo anni di sforzi, di tavoli negoziali, di intenti, è la conclusione, ci si ritrova ora «in una situazione così complessa, come quella che viviamo. Quindi, che si porti quanto prima una soluzione con un intervento preciso del governo».