Nel 1982, mentre l’Italia diventava campione del mondo di calcio, Avetrana, piccolo comune a vocazione agricola all’estrema periferia orientale della provincia di Taranto vinceva la madre di tutte le battaglie ambientaliste. Con un movimento di protesta dal basso, i cittadini di questo remoto borgo di poco più di seimila anime, quarant’anni fa presero in mano il proprio destino e si opposero al nucleare. L’onda della contestazione partita da sud-est, diventò tempesta travolgendo Roma e, dopo il caso Chernobyl del 1986, si fece tsunami. L’anno successivo, 1987, il referendum sul nucleare fu bocciato senza ombra di dubbio. Circa l’80 per cento degli italiani scelse di respingere l’ipotesi di impiantare in Italia le centrali, nonostante quelli (dopo la guerra del Kippur e la grave crisi petrolifera), fossero anni di grande sofferenza sul fronte della produzione energetica.
«Meglio attivi oggi che radioattivi domani» era uno dei motti più felici coniati ad Avetrana. Alla prima grande manifestazione ambientalista presero parte più di 50mila persone. Furono stipate sul basolato di piazza Vittorio Veneto. Una folla incontenibile giunta da ogni parte d’Italia per la quale fu necessario aprire anche la seconda e più capiente piazza Giovanni XXIII. Le due piazze oggi sono rimaste quasi immutate.
«Quel giorno di marzo - racconta alla Gazzetta Celestino Scarciglia, uno dei padri fondatori del Comitato contro il nucleare -, la giornata era un po’ come oggi: umida e fredda. Ma noi quel freddo non riuscivamo a percepirlo. Se in quella piazza fosse caduto uno spillo, non sarebbe mai arrivato a terra per quanta gente c’era».
Scarciglia, funzionario e poi direttore di banca, all’epoca era il segretario cittadino della Democrazia Cristiana. Aveva seguito suo padre Luigi, conosciuto come Gino in paese. Negli anni ‘80 il Piano energetico nazionale aveva previsto la costruzione di centrali nucleari per far fronte al fabbisogno di energia del paese. L’ipotesi studiata a Roma aveva trovato il favore e l’accoglienza del governo regionale, guidato dal democristiano Nicola Quarta. La centrale nucleare avrebbe dovuto vedere la luce al confine dei territori di Avetrana a e Manduria. Un altro possibile sito era quello di Carovigno, nel Brindisino. Gli impianti, costruiti vicino al mare, avrebbero dovuto da questo prelevare le acque per il raffreddamento. Tutto questo era inaccettabile per un manipolo di illuminati consiglieri comunali di Avetrana. Nel luglio del 1981 Antonio Nigro, Fernando Schiavoni e Chicco Marasco, con il nostro Celestino Scarciglia, presentarono in Consiglio una risoluzione che impegnava la stessa assise a votare su ogni decisione che riguardasse l’ipotesi centrale nucleare.
«Eravamo in pochi a conoscere i pericoli di questa nuova tecnologia. E poi all’epoca l’impianto significava grossi investimenti, lavoro, ristori. Questo incontrava il favore di più di qualcuno». Celestino Scarciglia non si lascia incantare dalle sirene del progresso e va avanti nella battaglia. Ci scriverà anche un libro. «Il 7 dicembre del 1981 alla notizia che il presidente della Regione Quarta aveva dato la disponibilità del sito, costituimmo ufficialmente il Comitato. Scendemmo subito in piazza, raccogliemmo più di 2000 firme e cominciammo a informare la popolazione del rischio che stavamo correndo. Dalla nostra avevamo anche gli scienziati: i professori universitari Giorgio Nebbia, Gianni Mattioli e Massimo Scalìa. Cercammo di coinvolgere anche il Partito Comunista, ma in un primo momento le segreterie locali erano restie a respingere l’ipotesi del nucleare. Poi, quando il popolo scese nelle piazze, cambiò tutto anche per loro». Il 6 gennaio del 1982, Celestino Scarciglia, novello Davide, sfidò platealmente il gigante Golia. «Quel giorno mi recai in sezione e strappai la tessera della Democrazia Cristiana. Poi togliemmo le insegne del partito. Contro l’imposizione dall’alto di questa decisione che ci cadeva sulla testa, facemmo resistenza attiva e passiva. Fummo ricevuti dappertutto, anche al Quirinale da Pertini. La gente per aiutarci in questa battaglia si autotassava. Quando arrivarono le trivelle per i carotaggi la popolazione organizzò i turni di bivacco per impedire ai mezzi di scavare la nostra terra. Furono proclamati 3 giorni di sciopero generale anche a Manduria, Maruggio, Porto Cesareo, Carovigno. La Regione Puglia fu inchiodata dalla volontà popolare a rivedere la sua decisione».
Una battaglia civile che sa di epico e che ancora oggi, a quarant’anni di distanza, è impressa nella memoria di chi, all’epoca, era poco più che bambino. Antonio Iazzi, 52 anni, docente universitario, da settembre è il primo cittadino di Avetrana. È l’«homo novus» della politica locale, eletto con una civica che, per usare un gergo da anni ‘80, è da larghe intese. «Il tentativo di occupazione dell’Ucraina, l’assedio di Chernobyl (proprio lei), le ripercussioni sui consumi di energia, già alle prese con costi divenuti ormai insostenibili, sono temi che oggi si intrecciano e negli abitanti di Avetrana rievocano - dice alla Gazzetta -, il ricordo della lotta contro il nucleare. Una lotta, quella contro l’insediamento della centrale nel territorio di Avetrana, che vedeva insieme popolazione e scienziati, tutti a far fronte comune contro un progetto dai consistenti interessi, ma dalla oscura sicurezza; tutti uniti per far rilevare la portata delle energie alternative. Quelle che oggi, con le moderne tecnologie, rappresentano un grande strumento dell’evoluzione verso la “transizione tecnologica”.
Sono trascorsi appunto quaranta anni dalle prime proteste che coinvolsero migliaia e migliaia di cittadini provenienti dai comuni anche di Manduria, Sava, Maruggio e da quelli delle vicine province di Lecce e Brindisi. E fu proprio il disastro del 26 aprile 1986 - prosegue il sindaco Iazzi -, che coinvolse la centrale nucleare di Chernobyl, oggi sotto assedio russo, con molta probabilità, a rafforzare il sano sentimento osteggiante delle popolazioni pugliesi ed italiane contro quell’impianto che probabilmente avrebbe dato sollievo economico, ma che certamente avrebbe compromesso il futuro di una comunità che, di lì a poco, avrebbe visto nel turismo una grande fonte di sviluppo economico». «Oggi per fortuna stiamo assistendo ad un profondo cambiamento finalizzato alla transizione verde, ecologica e inclusiva del Paese, grazie allo sviluppo dell’economia circolare, delle fonti di energia rinnovabile e di conseguenza un’agricoltura più sostenibile. L’auspicio è che con le risorse disponibili nel Pnrr, Avetrana possa continuare la sua lotta contro le potenzialità di inquinamento e diventare un esempio come lo fu in quei giorni indimenticabili»