TARANTO - ArcelorMittal ha depositato al Consiglio di Stato l’appello contro la sentenza del Tar Lecce dello scorso 13 febbraio che ha intimato all’azienda di ottemperare all’ordinanza sulle emissioni del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci e conseguentemente di spegnere gli impianti dell’area a caldo entro il 14 aprile.
Il Tar ha definito il pericolo per la popolazione legato alle emissioni del Siderurgico «permanente ed immanente».
Nel provvedimento del Tar si afferma che lo stabilimento, che ora vede lo Stato, tramite Invitalia, affiancare nella gestione ArcelorMittal, inquina ancora. E si puntualizza che nemmeno il rispetto dell’Aia comporta «di per sé garanzia della esclusione del rischio o del danno sanitario».
L’ordinanza del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci del 27 febbraio 2020 imponeva ad ArcelorMittal Italia e Ilva in As di individuare entro 30 giorni dalla stessa ordinanza le fonti inquinanti del siderurgico, rimuovendole, e, in difetto di adempimento, di spegnere gli impianti entro ulteriori 30 giorni. Il sindaco parlò di ripetuti fenomeni emissivi con rischi per la salute della popolazione, partendo dalla denuncia a suo tempo presentata dai sindacati in merito allo sforamento di valori registrato in quattro giorni di agosto del 2019 (5, 17, 18 e 19) per le emissioni in atmosfera dal camino E312.
Il 22 marzo 2020 l’azienda trasmise al Ministero dell’Ambiente e al sindaco di Taranto una relazione con la quale escludeva la riconducibilità degli eventi odorigeni ed emissivi indicati nell’ordinanza impugnata, nonché «l'irrilevanza» degli eventi emissivi che avevano riguardato il camino E312, sostenendo che, in ogni caso, non avevano integrato alcuna violazione dell’Aia. Nel ricorso ArcelorMittal evidenzia anche la complessità delle attività necessarie per l’eventuale spegnimento dell’area a caldo che richiederebbero, per scongiurare la distruzione dell’asset aziendale, una procedura di modifica sostanziale dell’Autorizzazione integrata ambientale.