Oggi gradirei condividere con tutti i miei lettori delle notizie sull’orso marsicano che è una sottospecie di orso bruno e che soltanto nelle regioni centrali italiane. Più piccolo, certamente di quelli così maltrattati del Trentino, ma considerate che per più piccolo si intende un maschio che prima del letargo arriva a pesare 160 chili ed una femmina 120 chili. Durante le mie esigue ore di ozio di ferie agostane mi è capitato sottomano un mensile abbastanza datato del 2018 e nell’articolo sulle bio-diversità a cura del biologo divulgatore scientifico e conduttore televisivo Vincenzo Venuto si narrava appunto dell’orso marsicano, delle sue abitudini e di un esemplare, Sandrino, che tanto ci ha donato, inconsapevolmente, ed al quale la scarsa riconoscenza umana non ha dedicato granché.
Nel 1982 venne trovato dai guardia parco in stato di denutrizione, con diarrea, disidratazione e febbre. Era il più debole della cucciolata e come spesso succede in natura per la sopravvivenza degli esemplari più forti, era stato abbandonato al suo destino. L’orsetto pesava solo 10 chili, ma venne curato e salvato e gli fu dato il nome di Sandro in onore dell’amatissimo Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica Italiana di allora. Sandrino nel 2015 a 33 anni ci lasciò per raggiungere il Ponte dell’Arcobaleno nell’Aldilà, ma nella sua breve ed intensa esistenza ci ha donato testimonianze, foto e studi sulla sua specie a causa della spensieratezza con cui si poneva nei confronti dell’uomo del quale non aveva paura, essendo stato adottato, salvato e reintrodotto nel suo habitat. Per simpatia dirò che era un grande «focacciaro», gustava la pizza bianca di cui era estremamente goloso.
Ad oggi l’orso marsicano è una specie protetta, dal momento che ne esistono ancora una cinquantina di esemplari e fortunatamente le femmine partoriscono ogni anno e non ci sono segni di malattie genetiche dovute ad accoppiamenti parentali.
L’orso si nutre essenzialmente di erba, carne, insetti e bacche e non ha grandi necessità di ampliare i suoi spazi, oltre alle riserve protette ad esso dedicate. Comunque si tratta sempre di un grande predatore, molto più veloce dell’uomo, nonostante la mole. La prima regola quando si cammina nel territorio dell’orso è quella di tenere il cane, se lo si ha, al guinzaglio. I cani sono attirati dell’odore selvatico e se trovano l’orso seguendo le sue tracce, potrebbero scatenare la sua ira. Un’altra regola è di non camminare nel bosco in religioso silenzio, l’orso deve sapere che ci siamo, in maniera di starne alla larga. L’orso diventa potenzialmente pericoloso se è una femmina che accudisce i suoi cuccioli, se viene disturbato all’improvviso, se difende una preda che costituisce il suo pasto. L’orso non vede molto bene, per cui di fronte ad un pericolo o ad un umano si mette in posizione eretta per ascoltare con il suo enorme olfatto la preda, ragion per cui liberarsi di zaino, cestino o altra roba che portiamo addosso, gli farà perdere tempo ad annusare e cercare lì la preda, consentendoci di spostare il nostro campo visivo dal suo e comunque se noi umani cercassimo di «rientrare dalla nostra grandeur» e capissimo che i loro territori, specie in determinati momenti della giornata non devono essere valicati, forse riusciremmo a capire che la convivenza ragionata deve partire da noi, piuttosto che da loro che essenzialmente vivono d’istinto e non sempre ammettono la nostra presenza nel loro territorio.
Ed è per questo che quanto successo invece in Trentino indigna oltre misura.
Per capire cosa sia successo nella Provincia autonoma di Trento dobbiamo fare un passo indietro, tra gli anni ’90 e il 2000, quando partì un progetto europeo finanziato «Life Ursus» a cura del Parco Naturale Adamello Brenta, della provincia Autonoma di Trento e dell’Istituto Nazionale per la fauna selvatica ISPRA. Tra il 1999 e il 2002 furono introdotti circa una decina di orsi bruni a causa dell’allarme di estinzione della specie nella zona a causa di bracconaggio che aveva quasi azzerato esemplari non monitorati adeguatamente. Ciò che non si capisce è il perché la situazione sia sfuggita di mano e nessuno in quasi trent’anni non abbia trovato l’illuminante via di equilibrio tra ambiente, popolazione e soggetti introdotti dal progetto europeo, per cui in circa 23 anni sono spariti circa 62 esemplari, senza una giustificazione, fino ad arrivare agli ultimi due esemplari rei solo di aver fatto il loro dovere da orsi ed aver cercato di salvaguardare se stessi ed i loro cuccioli. E con buona pace sulla loro inutile uccisione si sono trovati d’accordo due esponenti, il sindaco Maini e il presidente provinciale Fugatti che fisicamente con una dissennata ordinanza hanno caricato la pallottola assassina nella canna del fucile che li ha tolti di mezzo, anziché provare a capire cosa possa essere andato storto nel monitoraggio dei soggetti, a chi incolpare della mancanza di solida recinzione nell’area protetta da cui difficilmente gli orsi scappano, dato il loro carattere schivo, perché oramai l’inutile introduzione di questi orsi anziché essere supportata da un’educazione formativa e segnaletica anche nei confronti dei cittadini, si sia rivelata una fonte di bracconaggio e di pressapochismo tutto italiano. Nessun umano è colpevole, ma gli orsi, ahimè devono essere eliminati, quando rei di sconfinare in confini mai esistiti.
Umberto Eco, grande scrittore affermava che ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria.