Dopo il recital dello scorso aprile al teatro Petruzzelli, Stefano Bollani torna in Puglia per portare il suo piano solo a Mola di Bari, dove è atteso martedì prossimo, 29 luglio, alle 21.30 nell’Arena Castello per gli appuntamenti dell’AgìmusFestival diretto da Piero Rotolo (info 368.56.84.12). Ed è, quella del pianoforte solo, una sfida che nel caso di Bollani diventa fantasiosa, imprevedibile con il suo navigare a trecentosessanta gradi in un repertorio che abbraccia, tra gli altri, l’America e il Brasile, la Napoli di Carosone e la canzone d’autore italiana.
Bollani, suonare da solo richiede impegno e concentrazione fuori dal comune. Non teme mai di cadere nella routine?
«Sarò sincero, a volte nella routine ci sguazzo, ma dobbiamo intenderci: per me routine significa iniziare tutte le sere i concerti con gli stessi due brani, per poi suonarli sempre in maniera differente. Non è la routine dell’autore che magari individua una buona formula e poi la ripete all’infinito. Quando mi chiedono cosa suonerò in concerto, in realtà non lo so, perché magari parto con un’idea e poi la cambio. Ad esempio nel tour invernale nei teatri ho suonato anche i miei Preludi, mentre all’aperto non li sto eseguendo. A Mola forse ne proporrò un paio».
Quest’estate lei è impegnato in molteplici contesti, a cominciare da un nuovo quintetto nel quale suonano anche gli americani Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria. È una ritmica da sogno?
«È un gruppo favoloso e ne sono felicissimo. Oltretutto è un quintetto formato da gente che diversamente non si sarebbe mai incontrata: Mauro Refosco suona le percussioni persino con i Red Hot Chili Peppers, il fisarmonicista Vincent Peirani ha fatto duo anche con Michel Portal, mentre Larry e Jeff sono due musicisti superlativi con i quali avevo suonato per la prima volta venticinque anni fa. Tutti si sono messi in ascolto reciproco e ne è nato un suono nuovo, assolutamente originale».
Poi c’è la reunion con Enrico Rava, un musicista che in passato ha giocato un ruolo per la sua carriera. Quanto importante?
«Enrico è stato importante per me e lo è ancora, lo considero un esempio di chiarezza, di poesia, di intelligenza musicale. Mi piace perché a ottantacinque anni lui suona sempre nel presente, la musica deve accadere in quel preciso momento. Sotto questo aspetto, devo dire che siamo molto simili».
Un’altra chicca è il concerto al Festival di Ravello, dove è stata allestita una sorta di versione pianistica dei tre tenori: Bollani, Danilo Rea e Dado Moroni. C’è la possibilità che dopo Ravello vi si possa ascoltare anche in tour o su disco?
«Parlare di un tour è prematuro, ma sono sicuro che ci divertiremo un mondo. Con Danilo e Dado ci conosciamo da tanto, anche se musicalmente ci siamo incontrati poco fino a ora. Trovo in ogni caso che sia un bel trio perché oltre a essere amici abbiamo delle cose in comune che ci contraddistinguono, è il gruppo ideale per giocare, anche se bisogna farlo senza smettere mai di ascoltarsi, lavorando con sensibilità: ci sono sempre ottantotto tasti moltiplicati per tre!».