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Puglia, è allarme: in aumento i suicidi fra i ragazzi

 
Marco Seclì

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Marco Seclì

Puglia, è allarme: in aumento i suicidi fra i ragazzi

L’esperta: «La disponibilità all’ascolto fondamentale per intercettare il disagio»

Martedì 14 Novembre 2023, 08:27

BARI - Domenica il liceale di Bari che, a 18 anni, si sarebbe tolto la vita andando incontro a un treno, dopo aver lasciato una lettera d’addio. Di ieri la notizia del tredicenne di Palermo trovato morto sabato in casa. L’avrebbe fatta finita perché vittima di bullismo. Sono solo gli ultimi casi di un fenomeno, il disagio tra giovani e giovanissimi che può portare a gesti estremi. Fenomeno in crescita anno dopo anno e che non può lasciare indifferenti.

Un aumento verificato sul campo da Antonella Bello, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, responsabile Uos per l’Area Alta Murgia della Asl Bari. «Sì - conferma - siamo di fronte a un aumento dei casi di disagio giovanile, lo evinciamo sia dalla pratica quotidiana che, più in generale, dai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità. I suicidi sono la seconda causa di morte in Europa tra i giovanissimi dopo gli incidenti stradali, la quinta in tutto il mondo». Numeri tragici, amplificati dalla pandemia. «Dopo il Covid - sottolinea la dottoressa Bello - abbiamo assistito a una crescita esponenziale del disagio giovanile, i nostri servizi sono stati molto impegnati. In Alta Murgia, abbiamo realizzato un ambulatorio specifico proprio per offrire risposte ai problemi degli adolescenti. Ho personalmente anche dialogato con le associazioni pazienti psichiatrici adulti e dal confronto è emerso che la necessità di dare voce alle patologie adolescenziali attecchisce poco perché si tratta di sintomatologie più sfumate rispetto a quelle degli adulti, che vengono spesso scambiate per problemi di carattere che si risolveranno col tempo. Si tende a minimizzare».

Perché?

«Influisce anche lo stigma sociale. Soprattutto quando ci sono già altri casi di patologie psichiatriche, le famiglie tendono a negare. Inoltre, quando le problematiche si manifestano nella prima infanzia spesso vengono sottovalutate, salvo poi esplodere nell’età adulta».

Bisogna parlare dei suicidi tra i ragazzi o no?

«Enfatizzare i casi di cronaca a livello mediatico, fare prevalere il sensazionalismo, può risultare pericoloso per il rischio di emulazione. Diverso è fare un discorso di prevenzione, perché dietro il tentativo di suicidio c’è sempre una richiesta di aiuto, lanciata a una società in cui molto spesso ci sentiamo non visti, invisibili. È un modo di attirare l’attenzione tanto più drammatico quanto più importante è la problematica. Ecco perché occorre parlare del fenomeno con le famiglie e in tutti i contesti frequentati dai ragazzi, a partire dalla scuola, per cercare di intercettare per tempo il disagio».

Quali sono i segnali che i genitori devono cogliere?

«Qualsiasi segnale di eccessiva emotività o di cambiamento repentino può essere una spia. Il tentativo di suicidio è un sintomo che richiama patologie le più diverse. Viene subito associato alla depressione, che è solo una delle cause. Spesso alla base può esserci un disturbo bipolare, con fasi di depressione alternate ad altre di eccitamento maniacale. O un disturno borderline con instabilità emotiva e impulsività. Dipende però dalla fascia di età, anche se i gesti autolesionistici si possono osservare anche in bambini molto piccoli, manifestati da tentativi autoaggressivi, come può essere quello di toccare di continuo le prese della corrente. In questi casi occorre rivolgersi agli specialisti».

E le scuole cosa possono fare?

«Oggi per fortuna ci sono sportelli d’ascolto in molte scuole, ma bisogna incentivare l’organizzazione di incontri sul disagio adolescenziale anche in altri contesti, per dare voce ai ragazzi. La nostra è una società narcisisitca che ci vuole belli, intelligenti, perfetti, che idealizza modelli in realtà inesistenti e perciò irraggiungibili. I ragazzi allora si rifugiano nella realtà viruale e nei social, scompaiono le relazioni vere e questo li espone ai rischi».

Anche le famiglie a volte hanno aspettative troppo alte?

«Sicuramente. Oggi sono molti i genitori assorbiti completamente dal lavoro. Spesso siamo stanchi ed è difficile porsi in condizione di ascolto verso i figli. Le pretese sono alte e se c’è un terreno di fragilità i ragazzi vengono messi fortemente in crisi. Nessuno si preoccupa del loro mondo interiore e da questo nascono le tragedie, come purtroppo abbiamo verificato anche nella nostra provincia, con i casi di giovanissimi studenti e studentesse che si sono tolti la vita».

Che ruolo giocano i problemi della sessualità?

«Un ragazzo che si confronta con i temi della sessualità e dell’identità di genere può andare in crisi se non trova un ambiente che lo supporta. E nonostante questi temi siano oggi molto più conosciuti di un tempo, ci sono ancora famiglie che non accettano certe istanze e il disagio per i figli è inevitabile».

Quali consigli può dare alle famiglie e non solo?

«Fondamentale è l’ascolto dei ragazzi. Bisogna mettersi in posizione di ascolto e dare all’altro tutto il tempo che gli serve per creare una sintonia. Se sono un genitore o un insegnante, un conto è pretendere di instaurare una vicinanza in quattro e quattr’otto, un altro è realizzare un percorso che porta l’interlocutore a fidarsi di te. Ci vuole tempo, e il tempo è il problema della nostra società che vuole tutto e subito. L’analisi ci insegna invece che, nelle problematiche della mente, ci vuole tempo per ascoltare e per aiutare l’altro a cambiare». 

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