Nell’anno dei signori 1348 ‒ come narra Giovanni Boccaccio nel «Decamerone» ‒ alcuni giovani nobili si riunirono in una villa fiesolana dove si trastullavano raccontandosi novelle, per sfuggire alla peste nera. Nell’anno del Signore 1958, in uno dei nostri paesi (diciamo a Valenzano o in una delle tante contrade di Monopoli), alcuni anziani di umile estrazione sociale, per vincere la peste della solitudine, si incontravano ogni sera in un Camerone, dove passavano il tempo a dirsi i fatti loro e pure i fatti degli altri. Nessuno di questi aveva letto Antonio Gramsci che, pensando proprio a questo persone, nella sua cameretta del vicino carcere di Turi aveva scritto anni prima sopra uno dei suoi Quaderni «L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”».
E poi mica dobbiamo andare tanto lontano, ché pure al paese nostro succedono fatti brutti che ti fanno passare la fantasia e arrizzicare le carni, proprio come a tutti i paesi del mondo, e se hai capito quello che succede al tuo paese puoi dire che hai camminato tutto il mondo, pure se ti sei mai mosso da qua. Metti quello che è capitato a Giosino il pizzicagnolo all’altra domenica.
Va al pellegrinaggio a Monte Vergine, con l’autobus della Chiesamadre messo dal prete di là, e quando al lunedì mattina va ad aprire la bottega non trova più manco una fetta di mortadella, ché i malcreati di notte gli hanno fregato pure il bancone. Che mortadella, però, quella di Giosino!
Doveva essere veramente di Bologna, non come quella che vende Ciccillo il Mugitone, che pare fatta con la carne di ciuccio. Mi faccio una meraviglia che non lo chiamano Ciuccillo, al posto di Ciccillo. Però, per sparagnare e comparire, quando viene la vendemmia, i proprietari – si sa – vanno proprio al Mugitone a farsi fare le pagnotte con la mortadella o con la saraca affumicata, che sopra ci azzecca una bella tirata d’acqua fresca dal fiasco messo sotto all’albero delle corne; ah sé!!!
E quell’altro proprietario del Capacchione? Sempre a sparagnare sparagnare sparagnare e a stringere la cinta, senza vizi, senza moglie, senza luce elettrica, senza radio; tutta la vita con le candele, a pane e cipolla, per mettere soldi grossi, come a dire pezzi di carta, sotto il materasso: vendere l’olio, le mandorle, il vino, il sudore, la vita per mettere carte sopra carte sotto al materasso. Magari, per farsi gli occhi, quello ogni tanto alzava il materasso e se le guardava e se le contava e se le accarezzava le carte, come se erano i figli che non teneva, ché non si era voluto sposare forse per non dare a mangiare alla moglie e ai figli.
E che ne ha avuto mo’ che ha steso i piedi la settimana passata? Niente proprio, ché i nipoti stanno a fare lite dalla mattina alla sera per la cacchia della proprietà e per i soldi grossi trovati sotto al materasso, fino al punto che un nipote gli ha alzato le mani all’altro nipote e un altro poco gli cecava un occhio con la roncella. Ma sicuramente a questo bel cristiano di nipote ce lo vedremo, al Venerdì santo, sotto a qualche Santo a fare la penitenza dopo che magari è andato dentro alla chiesa a pregare di far morire il parente per prendersela lui la roba. L’uomo umano è così, ngul’a lui!
Come quell’altro, il figlio della Vicciarìa, sposato con quattro figli; meh! non va a mettere incinta a quella sventurata di Addolorata, la figlia della Tignosa, sventurata pure lei da quando fu lasciata dal marito che se ne andò al Belgio a lavorare e non si è più ritirato alla casa! Dicono che quello, là, teneva un’altra, una belgese, il magghiato cornutone. Eppure quello – sto a dire il figlio di Vicciarìa – col vestito nero dello sposalizio sotto il Santo del Calvario che va dietro dietro alla processione, quello, il canemorto, va innanzi innanzi al Santo, per farsi vedere che comanda lui il ballo: con che faccia, Cristo mio!
Pure la bonalma di Rocchino mio – pace vuole avere – andava sotto il Santo; portava il Bacio di Giuda; però – mi ricordo come fosse mo’ – la sera prima si andava a confessare e non voleva niente a mangiare, nemmanco una mollica di pane, pure perché, dopo la processione del Venerdì – si sa – i padroni dei Misteri li caricavano di mangiare fino a sckattare ai portatori: calamaretti e polpi crudi; linguine col sugo rosso di pescatrice, frittura di paranza, baccalà al forno con olive e uvapassa e bottiglioni di verdeca e sopratabola e dolci… e un altro poco gli dovevano dare pure la bomboniera, un altro poco, per fargli passare il dolore forte della Passione, ngul’a loro! I padroni dei Misteri – si capisce – non vogliono fare brutta figura e non vogliono sentire che all’altro Mistero hanno dato una pietanza di più.
La bonalma di Rocchino mio – tre volte requiem eterna – è andato sotto al Bacio di Giuda per una ventina d’anni, mica uno o due, fino a quando, mo’ fa nove anni, gli venne una mossa e mi lasciò sola sola, con un figlio solo che, per fare una cosa di soldi e potersi accasare Cenzina, se ne andò alla legione straniera e lì è lasciato: non so manco se campa oppure no. So solo che io sto sola e Cenzina è lasciata signorina grande. Se non mi erano morti gli altri due figli, piccoli piccoli, che stanno a fare gli angeli appresso al padreterno e speriamo appresso al padre Rocchino – requiemeterna e che il paradiso volessero avere tutti e tre – era un’altra cosa, ma sia fatta la volontà di Dio. Che ci dobbiamo fare! È la vita! Pazienza. Cristo li manda a chi li può sopportare.
Sola sola come un’anima del purgatorio; pure per questo fatto le commare e qualche compare mi vengono a trovare alla sera; per fare un’opera buona – si credono loro – ma anche per non struggere la luce alle case loro – mi credo io.
Comunque, o dilì o dilà mi tengono compagnia e mi dicono i fatti vecchi e nuovi, pure se sono più quelli vecchi che quelli nuovi, datosi che quelli nuovi sono tali e quali a quelli vecchi.
Metti come per esempio la commara Pasquina: oh! una sera sì e una no deve dire il fatto che le capitò allora quando, giovane giovane, venne rubata dal marito, che la voleva a forza pure se il padre e la madre di lei non volevano che si prendeva a quello, per il fatto che portava una brutta nominata di femminaiolo.
Ih – zitta – mo’ ha tozzolato alla porta proprio lei, Pasquina, e dal finestrone la vedo che è lei proprio: stasera ha anticipato l’orario della visita e se ne viene accompagnata da Rosa la Rossa: chichì e cocò. Che altra veste che si è messa quell’altra! Da dove l’ha pigliata, dall’America? Non lo vede che non le dice proprio? E che cacchio porta in mano Pasquina? Una guantiera? Mah! Mo’ lo dobbiamo sapere il fatto e ci togliamo il pensiero.
Avanti, avanti. Buonasera, chema’ Pasquina. Beata a chi ti vede. Che si dice? Come andiamo? Tutto bene? E che tieni dentro la guantiera? Mi pare a me che è roba buona!
(continua)
















