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Che feste, festival e sagre comincino, l’assessore è invitato

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Quando c'è la salute, c'è Michele Mirabella

Quell'immane quantità di spettacoli promanata dall’instancabile attività degli enti locali

Domenica 26 Novembre 2023, 12:13

Feste, farina e forca furono la sbrigativa ricetta del dispotismo dei Borboni di Napoli per ottenere rispetto e prona ubbidienza dal popolino, non senza ammicchi alla corrotta e sguaiata aristocrazia meridionale. Poca e striminzita la farina, frequente la forca, innalzata più per appendere i liberali e strangolare il libero pensiero che i farabutti, e numerose le immancabili feste allestite sulla scorta di un vistoso calendario di santi e patroni bastevoli a sostituire un’intera classe dirigente col concorso di una chiesa agguerrita e onnipresente.

Il sincretismo dei linguaggi e delle espressioni, diciamo così, promozionali di queste feste è sempre stato grottesco e pasticcione, come ricordò Visconti quando, nel film Il Gattopardo, fa suonare alla banda scalcagnata di Donnafugata le note della Traviata per far accomodare il corteo di nobili e notabili nella chiesa parrocchiale per celebrare il rito religioso di ringraziamento per la villeggiatura inaugurata e lo scampato pericolo di incontrare camicie rosse. Sempre meglio, grazie alla musica, divagare col pensiero verso le scollature delle dame di Napoleone terzo, il mascalzone, che pregare in musica su di acconci spartiti. Se c’è una vicenda da ombreggiare nella laicità di convenienza, questa è proprio la Traviata e suonarla in chiesa prova la maliziosa intelligenza di Verdi la cui musica si accredita buona per molti usi.

E, senza indietreggiare troppo con la memoria, ricordiamo certe nostre processioni pugliesi accompagnate dalle note del melodramma verista o pucciniano, addirittura, dove le Pasque sono di sangue e i Te Deum sono orchestrati da Scarpia sbirro e sporcaccione. Anche accompagnare con All’alba vincerò il barcollare della statua di San Pasquale si connota come avanguardia pura, sul piano teatrale. Non solo: è proprio questo sincretismo, spicciolo e un po’ abusivo, una prova, minuscola e pittoresca, ma pur sempre prova, della sinergia tra chiesa e stato che ha vivacchiato indenne sia nei dispotismi ottocenteschi, sia in quello truce e bieco del fascismo coi gerarchi ansanti alle calcagna di San Nicola, sia nella democrazia in cui viviamo, preghiamo, festeggiamo, sfiliamo, balliamo, leviamo i lieti calici perché il vino è generoso ed è generoso anche l’assessore che si ricandida.
Da un po’ di anni, dai tempi della Milano da bere, della Roma da mangiare, della Bari da arrostire a cominciare dal teatro, eccetera, le amministrazioni allargano le loro competenze nella vita ludica dei cittadini.

È vero, nelle innumerevoli campagne elettorali che hanno punteggiato la vita quotidiana dell’Italia del dopoguerra non si lesinava e i comitati elettorali, i cugini dei candidati, le cosche delle fazioni, gli amici degli amici hanno sempre largheggiato in feste e tripudi, giochi e lotterie, balli sull’aia e concorsi di miss pur di sostenere il fulgido destino dell’eleggendo. Ma, poi, non si è più aspettato il ricorso alle urne: sempre più spesso le amministrazioni locali si sono prodigate nell’attività di produzione di feste e spettacoli, gare sportive e concerti, festival di tutto e sagre di qualsiasi prodotto.

Ho rubricato una volta, poi mi è venuta la nausea per indigestione, sagre del carciofo, della cozza, del polpo, del fritto misto, dell’umile patata, dell’ottimo fungo cardoncello, della castagna, del fico secco, dei torcinelli, del gelato, della triglia, del gelato alla triglia, della salama da sugo, del prosciutto nel numero di tredici, della zampina, dello zampone, della zampetta, della zampogna. E potrei continuare con le sagre di centinaia di vini e liquori. Per non parlare della miriade di concorsi per volti e voci nuove per lo spettacolo. Tutto finanziato da comuni, provincie fino alla loro dipartita, regioni, aziende di soggiorno, comitati di feste patronali e pro-loco che, spesso, sono sostenuti da comuni, provincie, regioni.

È immane la quantità di feste, festival e festini musicali e goderecci, tersicorei e acrobatici, sportivi e ludici che promanano dall’instancabile attività di enti locali in cui, evidentemente, sbocciano talenti di show-producer ad ogni istante. Verrebbe da pensare che sia irresistibile la tentazione di sindaci, presidenti, assessori di diventare uomini e donne di spettacolo. Di tutte le competenze di un amministratore, quella dell’organizzare feste e spettacoli deve essere la più piacevole. Molti tirano fuori la scusa di promuovere il turismo, altri di voler alleviare la solitudine delle masse, altri ancora squadernano l’alibi culturale o artistico.

Notti bianche e colorate disseccano i bilanci, le piazze si riempiono a spese dei contribuenti e i cittadini si vedono togliere anche la gioia di inventare coi propri comodi e gusti il modo di festeggiare. Ci pensa il podestà. E se lasciassimo fare ai cittadini? Forse sarebbe più serio, proficuo ed economico. Basterebbe agevolare gli artisti, gli imprenditori e i professionisti del campo riaprendo i teatri e spianando loro la strada dei regolamenti e dei legacci burocratici e le piazze dal traffico. E che la festa cominci. L’assessore è invitato.

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