Domenica 07 Dicembre 2025 | 19:32

E io dissi al barbiere: «Il calcio non mi piace»

E io dissi al barbiere: «Il calcio non mi piace»

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Michele Mirabella

«Pierino» di viale Salandra a Bari e i ricordi quelle chiacchiere che «fingevo di capire e condividere Finché non mi scoprirono...»

Domenica 07 Dicembre 2025, 10:59

Si chiamava Pierino e faceva il barbiere. Praticava a Bari in viale Salandra e il suo esercizio posto all’angolo di una preziosa stradicciola vantava un’ampia vetrata sulla quale campeggiava il nome senza la mansione: non serviva. «PIERINO».

Chiunque poteva notare l’arredo, la ridda di specchi, le poltrone, l’armeggiare del ragazzo-spazzola, i bianchi asciugamani e l’operosità del titolare: un uomo bruno, azzimato, cortese con un sontuoso sorriso di denti laboriosi e uno sguardo buono e cordiale. Era il mio barbiere di fiducia.

Pierino, come tanti suoi colleghi, era facondo e curioso, ma sapeva ascoltare. Spesso, per ascoltare più compunto affilava con gestualità artistica il rasoio che sarebbe stato impeccabile sulla mia nuca e, naturalmente mi guardava nello specchio. Per anni mi ha tagliato i capelli e parlato di calcio e dandomi del «voi». Nonostante io ostentassi autorevoli letture universitarie, una volta ho studiato mezza dispensa di «Filologia Romanza» nel tempo di una sfumatura bassa scolpita al rasoio, o larghe consultazioni di giornali, Pierino mi parlava di calcio, anzi, di pallone come diceva lui. Discettava a voce alta per coinvolgere anche le altre poltrone, anche non occupate, nel dibattito e guardava nel grande specchio le espressioni dei convenuti al simposio in barberia. Il buffo delle conversazioni dal barbiere consiste proprio in questo: che ci si parla non guardandosi direttamente in viso, ma facendo carambola nello specchio, il che comporta uno strano effetto di straniamento che ho ritrovato solo negli studi televisivi quando gli ospiti più scaltriti mi rispondono guardando altrove, nella telecamera.

Dunque, da «Pierino», il barbiere, si discuteva di «football». E come! A testimonianza della pratica assidua con tutto quel mondo legato al gioco di blando azzardo del Totocalcio, residuavano sulle mensole della barberia pacchetti di schedine del totocalcio scadute che servivano a raccogliere il sapone usato delle rasature. Era la testimonianza di una contiguità Barbieri-Pallone che era diffusissima. Io, del tutto indifferente alla passione calcistica, ho finto per anni di scriminature artistiche, di interessarmene, un po’ per non dispiacere il mio amico e rischiare sbavature del contropelo, un po’ per non sfigurare con stravaganze nell’uditorio compatto di allenatori della nazionale che frequentava il salone, anche a prescindere da tagli o shampoo.

E per anni ho pazientemente simulato competenze che non avevo con tanta bravura da meritare la prestigiosa reputazione d’intenditore. Un’impresa linguistica! Avevo perfezionato una tecnica efficace: barattando termini comuni e frasi fatte di cui alcune in inglese del lessico calcistico, buttavo là delle provocazioni che innescavano lunghe diatribe che mi consentivano di continuare con i Lais di Maria di Francia, un perdonabile «Bignami di Letteratura Greca» o con «l’Espresso». Alla prima pausa del cicaleccio mettevo altra legna nel fuoco e sparavo un Il Bari si deve decidere a rafforzare il centrocampo senza trascurare le ali. Ora ditemi voi se non basta e avanza per azionare in qualsiasi epoca della storia del calcio interminabili dibattiti. Ricordo un perfetto: «Ci vuole una difesa articolata che fornisca gioco al mediano di spinta». E via così non senza una certa abilità che diventò, con lo scorrere dei campionati, virtuosismo.

Un giorno, però caddi in errore, un errore imperdonabile per un Barese. Dissi: «Chi è Catalano?». Si fece silenzio, un silenzio imbarazzato e incredulo. Tutti sapevano e sanno che il signor Catalano era il divo del calcio barese e io ne domandavo! O era una provocazione o, proprio, ero ignorante. Ammisi, ammisi l’incompetenza, scesi dallo scranno del saggio esperto e, liberandomi, proclamai: Del calcio non me ne frega niente. E venne un silenzio che ospitava borbottii stupefatti. Per quel giorno andò così. Alla barba seguente, Pierino, prima di dar di piglio a sapone e schedine, affilando il rasoio a mano libera sulla correggia consunta, avvertì l’uditorio: A u’ dottor non ng piac u’ pallon. Lo ripeté a voce più bassa, incredulo, e insaponò doverosamente. Il dibattito ci fu lo stesso, ma avvertii una certa stanchezza, una penosa asma delle argomentazioni, una indecisione prima dei proclami che denunciavano un disagio: la presenza di un eretico, d’uno scettico, d’un incredulo. Le fedi, si sa, hanno bisogno d’unanimità. Mi pentii della sincerità e, per essere riaccettato nel salone di Pierino: giorni dopo annunziai che avrei seguito Peppino Cusmai, detto Napoleone, in un pellegrinaggio al seguito della Bari. Cusmai, titolare dell’omonimo Bar, era il condottiero dei tifosi cittadini e, ostentando magnifici baffi a manubrio, li capitanava in pacioccone incursioni nei fortilizi avversari.

Fui perdonato e riaccolto nel convivio. Però non mi stettero più a sentire. Ma Pierino mi strizzava, comunque, l’occhio. Oggi direbbe a ragione A u’ dottor non ng piac u’ pallon! E ioscmang a me. Traduco?

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