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La santa modestia di Nicola da Myra

La santa modestia di Nicola da Myra

 
san nicola «Bari come Compostela»

Le imprese miracolistiche sono lontane tutte dalle esagerazioni promozionali dell’apologetica cristiana del tempo

Domenica 30 Novembre 2025, 15:00

«Quando il Signore volle chiamarlo a sé, Nicola chiese di mandargli degli Angeli». Così la «Legenda aurea di Iacopo da Varazze. E il richiedente è già santo. Chi, se non Lui, avrebbe potuto avere la santa petulanza di chiedere, per il congedo estremo, la prestazione angelica? E viene accontentato: spira e sospira: «Ho sperato in te, Signore»: Non fa in tempo a specificare «nelle tue mani» che parte da questo mondo di marinai increduli, di chierici bizzosi, di padri mezzani, di despoti sanguinari. Insomma esce di scena, dalla scena terrestre affollata di attori e comprimari dell’antico racconto, di quella propaggine estrema del mondo classico che avvince Iacopo agiografo e noi, suoi lettori.

Non appena Nicola vescovo si fu addormentato nel Signore s’udì una musica celestiale: era la procedura mistica del tempo e piovve un segnale significativo a confondere gli scettici e ad indicare la via d’un ritorno del Vescovo di Mira in un posto dove, peraltro, non era mai stato. Dal suo corpo scaturì una fonte d’olio, dai suoi piedi una d’acqua e, ancor oggi, trasuda un olio santo che guarisce molti infermi». Era il 6 dicembre, diesnatalise, come tutti sanno è questo il giorno in cui si festeggia un santo, quando muore alla vita terrena, ma nasce a quella celeste. Sin dai tempi di Giovanni da Napoli che tradusse la «Vita di Nicola» dal Greco di Metodio nel latino del secolo IX, vi fu chi individuò in questo oleoso miracolo la vocazione di San Nicola a riposare per sempre in Puglia, dopo la conquista di Mira degli infedeli. E questo accadde nel mese di maggio, secondo Dies natalis, più terreno, anzi marittimo.

Quello che si segnala nella vicenda agiografica di Nicola è la semplicità dell’apparato simbolico, la leggerezza popolare delle leggende, la santa modestia, direi, delle imprese miracolistiche, lontane tutte dalle esagerazioni promozionali dell’apologetica cristiana del tempo. Si comincia da un evento minuscolo a acrobatico: appena nato e, mentre lo stavano lavando, s’alzò e rimase in piedi nel catino e, per di più, «il mercoledì e il venerdì prendeva il latte una sola volta al giorno». Segno evidente, quest’ultimo, di sobri costumi e d’inclinazione verso diete salutari e mistiche.

La lettura della sua Vita è affascinante. L’impresa più famosa del Santo e che, probabilmente gli assicurò il vescovato, è quella ricordata anche da Dante nella Commedia (Purg. XX, 32). «Un suo vicino che aveva tre figlie ancor giovani, aveva deciso, a causa della povertà e nonostante la nobiltà del casato, di spingerle alla prostituzione, per ricavare di che vivere da quello sconcio commercio». San Nicola che fa? Convoca i fulmini divini? Arruola i Cherubini della Buon Costume angelica? Fa sparire in caste nuvole le pulzelle? Niente super poteri: «Il Santo seppe la cosa, ne ebbe orrore e, avvolto dell’oro in un panno, di notte, lo gettò in casa del vicino e fuggì. La mattina, svegliandosi, il vicino trovò l’oro, rese grazie a Dio e, con quella cifra, maritò la primogenita». La faccenda si ripeté altre due volte fino ad esaurimento delle zitelle, l’esoso padre scoprì l’anonimo benefattore, gli si buttò ai piedi per baciarli, ma ne ebbe un diniego e l’ordine di non far parola dell’elargizione. A beatificazione avvenuta per acclamazione, il pettegolezzo santo tracimò. A pensarci il vero e istruttivo miracolo fu quello di non pretendere grazie, di ben operare senza aspettarsi benemerenze: l’operosa generosità fattiva e pragmatica. Tutte virtù che, unite al ribrezzo di farsi baciare da un ruffiano potenziale, devono aver convinto Nicola alla discrezione. Altri e successivi miracoli, ma, forse, meglio sarebbe dire opere, provarono il buon senso e l’intelligenza di Nicola domatore di tempeste, sanatore di ingiustizie, recuperatore di crediti.

Peccato non avere i verbali del Concilio di Nicea (Primo, 325) e che le fonti oscillino. Furono decisioni importanti come la proclamazione del Figlio consustanziale a Dio Padre e il metodo della elezione dei vescovi, la fissazione della Pasqua dopo l’equinozio di primavera, la disciplina del clero: il Vescovo di Mira vi partecipò. Nonostante si siano discussi questi ed altri poderosi temi, i lavori si conclusero in meno di un mese, un record, e con soddisfazione generale. Ci piace pensare che San Nicola sia stato l’artefice della efficace brevità dei lavori. La circostanza che questi si siano conclusi con un banchetto offerto da Costantino ci rafforza nell’ipotesi. Nei secoli si radicò, evidentemente, nei Baresi la stima per le virtù del Santo della Licia così affini alle loro e, dai e dai, fu trovato un bel pretesto per andarsi a prendere quelle sante ossa trasudanti olio. Meglio una scaramuccia per l’olio del santo che una guerra per il petrolio. A proposito di petrolio, Nicola lo conosceva come opera del maligno: in uno dei suoi miracoli liberò una nave da un carico di olio «del diavolo» che prese fuoco divampando, contro natura, sull’acqua. Le pagine di Iacopo da Varazze ancora ne rabbrividiscono.

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