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Siamo in un Paese che vive di chiacchiericcio

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Quando c'è la salute, c'è Michele Mirabella

La cronaca infligge la giaculatoria consueta nelle conversazioni intrise di comodo moralismo e di piglio rigorista

Domenica 22 Ottobre 2023, 13:05

«È uno scandalo, signora mia». Ci siamo: la cronaca infligge la giaculatoria consueta nelle conversazioni con comodo di moralismo e di piglio rigorista in salotti sponsorizzati dalle premiate ditte e affollati di dirigenti vecchi e nuovi. Ah, il generone! Che sarebbe il generone senza lo scandalo periodico che fa prorompere in estatici «Hai letto? Hai saputo? Hai sentito?» Delle attricette, delle ballerine, dei maneggioni, dei guardaspalle, dei politici, dei presentatori, dei vip, dei ricatti sessuali.

E, continuando, si potrebbe elencare un rassegnato «Così va il mondo, ragioniere», un sospiroso «È ora di finirla, mia cara, ora di finirla» con la variante escatologica «dove andremo a finire?», un ringhioso «Sapevamo che la politica non è più la stessa, avvocato mio...». E le banche, no, dico: e le banche?” nessuno che inviti a proseguire, informare, provare. Dicerie e basta. In altri salotti affollati di altri dirigenti di altri poteri forti, altre chiacchiere istruttive. Il motto: «Ma si sapeva, lo sapevano tutti» malizioso e codardo per schiacciare una nomea del mondo finanziario. Infatti lo «sapevano» tutti. Sempre gli altri, mai noi. «Prima o poi doveva succedere», infimo e inutile. Come le ciarle sul mondo dello spettacolo.

«Nello spettacolo è sempre successo da quando mondo è mondo» pigro e accidioso. Ecco: si arriva all’ambito sessuale, al terribile e implacabile «Sono loro che si offrono, loro, quelle sporcaccione che hanno esagerato nel bere. Un povero maschio che dovrebbe fare?»

E nessuno che proponga: «Tenere le mani a posto e farsi una doccia fredda, imbecille, sporcaccione».
Inevitabile il tutto, come la mezza stagione che non è più la stessa, volteggiano i sussurri interrogativi. «Hai saputo di quel tizio con la moglie del suo migliore amico? O nemico, fa lo stesso. È lo scandalo stagionale.
Sono andato a consultare il dizionario etimologico alla voce «scandalo» e ne ho tratto istruttivi piaceri (della mente) e informazioni curiose.

La parola è viva nel latino tardo (scandalum) e significa impedimento, ma discende dal greco skandalon che significa, precisamente, «Pietra di inciampo, insidia». Una pietra tratta dal lessico biblico. Curioso questo inciampo, questo impedimento. Pensandoci, la tradizione colta e popolare pullula di pietre che vengono lanciate addosso alle adultere, salvo in casi di miracolosi incontri, di macigni che varrebbe, piuttosto la pena di attaccarsi al gargarozzo invece di arrecare scandalo (appunto), di pietre mancanti all’inferno per lastricare le sue affannate strade e sostituite da buone intenzioni, buone e inutili.
Su una di queste pietre si sono avviate carriere di divi televisivi e arrancano ambizioni di ragazzine incoscienti, ma intorno a questi scogli sguazza il chiacchiericcio moralistico e salottiero di un intero Paese, il nostro, che si scopre la solita vocazione al luogo comune più odioso e protervo.

Per cui sotto certi salotti e in certe terrazze ci si avventa famelici sul mondo dello spettacolo raccontato come una specie di sentina putrida abitata da affaristi sconci, mercanti senza scrupoli, guitti dediti al più sfrenato uso festoso dei genitali. In altri salotti o circoli privati, si pratica l’esercizio di descrivere il mondo delle ragazze in carriera artistica come un gineceo di avide sacerdotesse del divismo dedite solo a denudarsi sulle scrivanie, a smaneggiare autisti e segretari, a braccare funzionari inermi e innocenti e pensosi presentatori. Di questo si fece sassaiola politica.

Quando le parole sono pietre. Queste si, pietre dello scandalo di una sottocultura che non è capace di equilibrio, di correttezza, di saggia ponderatezza voluttuosa solo di praticare la libidine piccolo borghese di ammassare tutte le erbe della cronaca spicciola in un unico, confuso sfascio. Come se certe faccende non fossero endemicamente diffuse a piagare non solo certi studi televisivi, ma qualsiasi assembramento professionale, come se malizia, corruzione, voto di scambio, baratto di alcove con fogli paga non fossero l’altra faccia di tutte le monete.

Dietro certi accanimenti rabbiosi fino alla voluttà, in tutti i salotti, c’è un piacere sottile e sinistro che aziona chiacchiere e moralismi straccioni: quello di disarcionare l’eroe, di abbattere il divo, di screditare il minuscolo mito contemporaneo a cui un perverso sistema della comunicazione ha accreditato fortuna, bellezza, denaro, successo e facili amori. Si attiva, così un meccanismo inconscio di invidia collettiva che, ogni tanto va fatto esplodere. E così su di una legittima azione della magistratura che, al principio, è solo investigativa, si innesta lo scandalismo e la grancassa.

È lo stesso perverso sistema che, periodicamente, ha bisogno di liberare dei posti per ricominciare a mentire e a creare nuove triste e avvilenti mitologie dietro le quali far correre le ragazzine, o ambiziosi politicanti salvo, poi, a insultare questi e buttare quelle sul lastrico della vergogna pubblica. Prima adescare, poi lapidare. Mi accorgo che lastrico e lapidare sono parole che hanno a che fare con le pietre. Importanza dello studio etimologico! Quante cose insegna. Anche a tenersi lontano dalle pietre dello scandalo.

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