Domenica 05 Ottobre 2025 | 16:39

Minosse il «cornuto» e gli italici soccorsi

 
Michele Mirabella

Michele Mirabella

Il giudice dantesco condannerebbe i peccatori che perseguitano le vittime e chi porta aiuto

Domenica 05 Ottobre 2025, 14:00

«Stavvi Minòs orribilmente e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata, giudica e manda secondo ch’avvinghia». Cito l’antico e battesimale italiano di Dante della Commedia dove incontriamo la fiera infernale che fa da giudice, diciamo così, «di primo grado», esente dalla separazione delle carriere, delle anime dannate. All’epoca furente e pensosa della scrittura della Commedia (Divina la definì, pare, il Boccaccio), Dante conosceva il Re di Creta e, forse, si era documentato anche sulla proposta economica e culturale della vecchia Creta: I Cretesi avevano imposto un dominio noto come «talassocrazia», che in greco significa «potere sul mare». Nei fatti, applicare la talassocrazia significava portare avanti un’attività commerciale molto intensa: tracce di contatti con i minoici si ritrovano fin sulle coste della Spagna. Oggi sono gli Iberici, tra gli altri, a navigare nell’estremo est mediterraneo non per commerci, ma per nobili moti pacifisti.

Ma torniamo a Minosse. È arruolato da Dante ad istruire il processo, ma anche a comminare la pena. Quel «conoscitor delle peccata», così lo gratifica l’Alighieri che è, per così dire, nel ramo, e ben può muoversi nelle turpitudini, nonostante la delega gli venga dalla Teodicea cristiana che egli non poteva aver conosciuto al tempo del breve errore della sua vita mortale, quando, cioè, regnava su Creta e dintorni mediterranei: molto prima, cioè, dell’avvento della Buona Novella.

Re Minosse è creatura del mito, mito egli stesso. All’Inferno fa il giudice. Il motivo che spinge Dante a scritturarlo sarebbe a me oscuro, se non fosse per un vago contrappasso per analogia con la severità praticata in vita esiliando il figlio bastardo Minotauro nel Labirinto, costretto a cibarsi delle prede greche. Perché infliggo ai miei amati lettori questo sfoggio di memorie scolastiche? Per l’attualità del mare mediterraneo nelle tristi cronache? Si!

Perché Minosse aveva le corna. A tutti gli effetti è il primo cornuto della storia e della preistoria. Prima di lui i mariti o le mogli vittime di tradimenti coniugali non avevano mai meritato l’epiteto popolaresco e le corna le portavano, e ancora le portano molti animali senza adombrarsi, anzi.

Perché, da Minosse in poi, i tradimenti d’amore, coniugale o no, meritano il titolo di cornuto? La leggenda mitologica comporta un combinato picaresco molto curioso. Come Ovidio, tra gli altri, racconta in favola, la moglie di Minosse, la regina Pasifae si invaghì follemente di un bianco torello sbarcato a Creta per castigo del Dio vendicativo Poseidone, irritato da un oltraggio di Minosse. L’amore ferino della regina per il bovino si compì con un espediente di falegnameria artigiana: la costruzione di una vacca lignea, diciamo così, abitabile. Dal connubio contro natura nacque il Minotauro. Mezzo toro e mezzo uomo. Il mito non precisa la dislocazione delle parti.

Il resto è noto. Pare, ci sia un risvolto rustico alla terribile favola: da quell’empio tradimento in poi, pare, non siano stati risparmiati a Re Minosse dileggio e sfottò da parte del popolino. Al suo passaggio fu consuetudine mimare con le mani le corna del toro protagonista dell’adulterio regale. Pare che, da allora, a fianco delle storie di Minosse, Pasifae, Minotauro, Teseo, Arianna eccetera, sia fiorita anche la modesta e piccante abitudine di dar del cornuto al marito o moglie sfortunati. Non previsto l’«entrambi».

Mi sfugge la ragione di lanciare l’epiteto all’arbitro sportivo, anche scapolo o renitente ai fidanzamenti, così come non saprei spiegare il dare del cornuto ad uno sconosciuto che ci taglia la strada con l’auto. Si tratta di congetture sul loro stato affettivo e dell’auspicio che sia tribolato. L’uso del gesto italiota è diffuso da sempre e attiene all’armamentario della semiologia somatica e gestuale così come il dito medio proteso che riassume il rinvio a pratiche sessuali volgari e aberranti o l’omologo braccio ad ombrello. La beata e fantasiosa gamma mimica degli Italiani consentirebbe intere e complete conversazioni. Soprattutto alterchi ricchi e prolungati. Esistono studi sul tema. Va da sé che le corna stanno, anche, come scongiuro o esorcismo sbrigativo. Sconsigliabili nei salotti buoni, ma, comunque, meglio, se proprio non se ne può fare a meno, delle grattatine furtive e dei toccamenti. Più comodo il cornetto mimetizzato tra le chiavi dell’auto.

La nostra storia politica annovera un intero album di casi documentati da foto. A proposito: la pratica delle fotografie scolastiche ha diffuso lo scherzo elementare di squadernare indice e mignolo dietro la testa del primo della classe. Rintracciato l’uso anche in gite aziendale o nei dopo pranzi particolarmente avvinazzati. Ci sentiamo di escludere maliziose allusioni a situazioni coniugali. Si tratta di consuetudini innocentemente italiane.

Come quella di portare aiuto ai popoli tormentati dalla guerra. Minosse dantesco condannerebbe i peccatori che perseguitano le vittime e i soccorritori. «Giudica e manda secondo che avvinghia»!

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