Domenica 21 Settembre 2025 | 19:29

Quando il medico non si fa capire

 
Michele Mirabella

Michele Mirabella

La divulgazione scientifica sembra un concetto noto. Ma nella relazione con i pazienti non lo è quasi per nulla

Domenica 21 Settembre 2025, 15:30

«La scienza consiste nel sostituire un sapere, che sembrava certo, con una teoria, ovvero, con qualcosa di problematico». Così Ortega y Gasset, filosofo. La scienza nel suo costituirsi, esige d’esser divulgata. Già negli anni ‘30, ci si allarmava su di un rischio: la divaricazione tra mezzi di comunicazione e cultura alta. E negli anni ‘30 non c’era la televisione. Ortega se la prendeva con la stampa: se il mondo cammina a testa in giù, è perché il potere della stampa è invasivo e totalitario. Il potere totalitario dell’informazione è spirituale. Ma dei mass-media non possiamo e non vogliamo fare a meno. Né di buoni giornali che conoscono la lezione.

Karl Popper, in un’intervista ci ha lasciato una lezione di carità divulgativa. Diceva: Chi produce televisione, a qualsiasi titolo e rango, dovrebbe ottenere una patente: è infatti inaudito che ci siano ordini professionali di qualsiasi tipo e non esista uno per chi “fa”la televisione, visto che ha un potere spirituale ingente perché è, di fatto, il più formidabile mezzo di divulgazione. Oggi le si è attorcigliato il sistema informatico. Perché non dovrebbe esserci un problema etico per chi fa divulgazione, posto che non armeggia con un arsenale accessorio del mestiere giornalistico, ma con responsabilità nel cui ambito va collocato il ruolo che si intende per la scienza? L’opera della divulgazione consiste nel rendere accettabili temi inaccessibili, perché barricati nella roccaforte delle specificità.

Mi ostino ad avventurarmi nella storia della cultura: se Dante ha voluto rendere i suoi itinerari letterari e storici in lingua volgare, ha avuto buone ragioni. Divulgare non significa banalizzare, ma, opporsi alla banalizzazione: il danno che, oggi, viene perpetrato alla lingua italiana non va nella direzione della divulgazione. Divulgare non significa spogliare la lingua delle sue preziosità e ricchezze semantiche e lessicali, anzi. Divulgare significa attrezzare in modo cosciente il pubblico per un uso consapevole e ricco della lingua. Significa, se mai, tradurre, non banalizzare. In questo la buona stampa specializzata e nell’universo telematico è molto più avanti della televisione. Credo che la divulgazione debba cominciare fuori dagli studi televisivi, o meglio, «con» gli studi televisivi. Per necessità professionale, uso in tv il linguaggio medico che, tra i tanti linguaggi scientifici, è quello che direttamente implica l’interesse di larghi strati della popolazione. Se non vogliamo far retrocedere le persone al rango di sudditi o trasformarle in miopi consumatori, sarà bene che usiamo, prima di tutto, la lingua. Chiara, condivisa, bella. Insegnare e divulgare significa rendere opera di liberazione.

Il linguaggio medico, talora, è inestricabile: da questo si può cominciare a far chiarezza. Non sto dicendo ai medici di tradurre. Il paziente e il medico sanno di parlare linguaggi diversi e addirittura simmetrici, confabulano in un’alleanza ineluttabile, ma difficile e comunicano le proprie solitudini: l’uno, il paziente alle prese col suo dolore che parla, diciamo cosi, con le parole del corpo umano e l’altro il medico che interpreta con quelle del corpo biologico e della sua tecnica. I due comunicano poco e la relazione medico-paziente va in rovina già dal primo incontro se soggiace ai colpi di un’incomunicabilità che prende le mosse da due punti di partenza dissimili: la diversa nozione di corpo e la diversa cultura della comunicazione. Mi ostino, per esempio, a respingere i tecnicismi, gli anglicismi superflui, gli acronimi affastellati. Azzardo un esempio da burla: «La sintomatologia offre un quadro eziologico criptogenetico per cui si richiede una TAC e un SMN per scongiurare l’ipotesi di una BPCO. Quanto al paziente con rischio di IBS il quadro diagnostico è oscuro». Chiedo scusa al dottore.

Da qualche tempo, nuvoloso tempo, negli ambiti tempestosi della nuova comunicazione di massa, ci dobbiamo misurare con la «Intelligenza artificiale». Secondo la definizione della «Strategia dell’Unione europea» per intelligenza artificiale si intendono sistemi che mostrano un comportamento intelligente nell’analizzare il loro ambiente e intraprendere azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere obiettivi specifici.I sistemi legati all’Intelligenza Artificiale possono essere basati su software, agendo nel mondo virtuale (assistenti vocali, software di analisi delle immagini, motori di ricerca, sistemi di riconoscimento vocale e facciale) oppure possono essere incorporati in dispositivi hardware (ad esempio robot avanzati, auto autonome, droni o applicazioni Internet of Things).

Si tratta di un’invenzione straordinaria. Se usata correttamente per promuovere verità e itinerari scientifici, filosofici, sociologici. Se usata da criminali, l’«intelligenza» diventa «demenza reale» istigata dalla possibilità di promuoverla al rango del «farfugliare della verità» e inganno infernale per negare la verità sostituendola con la demenza e la criminalità.

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