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Castel del Monte «inutile» meraviglia

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Andria, Castel del Monte

Castel del Monte

Domenica 10 Settembre 2023, 20:09

20:10

Prima che arrivasse l’astronave del pallone sull’altura posticcia limitrofa alla circonvallazione di Bari, lo stadio, insomma, a qualcun altro era venuto in mente di intestardirsi in una costruzione magniloquente e solenne di una antologia simbolica globale ancora non del tutto decifrata, di destinazione d’uso anche a noi altri posteri, dubbia, misteriosa, enigmatica.

Fu Federico II di Svevia, quel «Puer Apuliae», soprannominato così dai livorosi e competitori delle sminuzzate contee germaniche rimasti a rodersi per lil loro mancato successo dinastico. Il soprannome per i germanici stava per «terrone».

Il terrone Federico si gloriò del soprannome, lo iscrisse sul blasone e s’incaponì, non solo, in edilizie simboliche, ma, anche, in anacronistici sogni di restaurazioni dell’impero universale interetnico e multiculturale: anzi, il politico, il negromante, poeta, uccellatore Federico che, allora, non conosceva le parole «interetnico» e «multiculturale», dell’anacronismo fu il principe assoluto e il sognatore petulante.

E Castel del Monte sta lì a ricordarlo con la sua ineffabile maestosità di pietra e l’enigma sembra conosciuto solo dagli uccelli che svolazzano su quel granitico biancore, finalmente al sicuro dai rapaci falconi imperiali. Molte le congetture sulle ragioni che spinsero sua maestà a tirar su il manufatto poderoso: castello d’abitazione, casino di caccia, euforia mistica che avrebbe istigato al simbolismo ermeneutico della topografia postaevangelica? Tutte ipotesi sconfitte ora da una constatazione architettonica, ora dall’altra. Troppo grande, troppo piccolo, troppo arduo congetturare, troppo lontane Chartres e Gerusalemme che sono, come è noto, in asse con la campagna di Andria-Corato. Troppo complicato riannodare la tessitura simbolica.

Di fatto il Castello pluriottagonale, e anche sulla ricorrenza del numero otto si è esercitata la laboriosità esegetica degli studiosi insonni, è una meraviglia. Di lui si può dire, come del suo inventore, «Stupor mundi». La corona di Puglia vigila da secoli sulla terra di passaggio e migrazione con alterigia architettonica e armonia di forme e colori. Terra di passaggio? Sì, come tutti sanno. O che? Potevi andare in Terra Santa senza fermarti a mangiare il pesce a Manfredonia? (altro re, altro fondatore) o a bere vino «fattizz» a Trani? O far provvista d’olio a Bitonto? O a meditare ad Otranto la bella? E quei pastori transumanti? Quei contadini girovaghi in cerca di terra da maneggiare avidamente? E quei mercanti, pellegrini, viandanti, avventurieri, frati, peccatori, guerrieri, quei secondogeniti vittime di esosi maggiorascati che anelavano coroncine feudali limitrofe al Getsemani? Non traversavano «le Puglie» con compiacimento rinfocolato dallo stesso presagio d’oriente che noi, padroni di casa, sentiamo appena nati. Terra di viaggiatori e per viaggiatori. Da Appio stradaiolo, a Orazio satiro, da Federico muratore, appunto, fino alla moltitudine di Europei che sono venuti, sono passati, sono ripartiti. Molti sono rimasti: Normanni edificatori, Arabi traffichini e Svevi, Angioini, Aragonesi, mercanti francesi come Ravanas, negozianti e musici come Van Westerhout, e turchi, Russi, Polacchi e Svedesi. Per non parlare dei Tedeschi che non si capacitavano che un Hohenstaufen avesse preferito dimorare in Puglia dopo aver vagheggiato la Sicilia e il mare. Ora si capacitano e vengono.

Vengono e come! La migrazione continua ed è sempre affollata, mi dicono e leggo. Ora si chiama turismo e, quando non si tratta di affari, commercio.

Ma la domanda affiora irruenta, sappiamo come ospitarli, nutrirli, intrattenerli? Sappiamo trattenerli Sappiamo farli sentire a proprio agio, al sicuro? Lo sappiamo che i turisti portano, è una realtà inerziale, pace, benessere, conoscenza, cultura, arte, risorse. Ma lo sappiamo che pretendono di portar via pace, benessere, conoscenza, cultura, arte, risorse. È la legge antichissima della ospitalità. La prima forma perfetta di comunicazione complessa, fatta di scambio mutuo e reciproco. La vollero gli Dei, dicono le mitologie, la imposero le antiche leggi, la praticano le civiltà evolute. E conviene a tutti. La mia esperienza personale di forestiero in patria non mi suggerisce eccessi di ottimismo e non vado constatando eccellenti progressi nell’organizzazione turistica, nell’affinamento delle tecniche dell’ospitalità. A Bari gli alberghi sono pochi, per esempio, e in tutta la regione di segni non ce ne sono a sufficienza e non tutto merita stima: penso a residenze bellissime, ma, anche, alle miriadi di «Letto e colazione». (in Italiano prevale un senso di eccessiva sobrietà, mi è stato riferito). Però mi piace non segnalare eccezioni, ma rallegrarmi di regole e abitudini.

La ristorazione, stante la mirabile qualità della nostra gastronomia, pretenderebbe diffusione capillare di qualità. La bellezza della nostra storia artistica notoriamente ci salverà. Colleghiamo gli sforzi. Qualche volta si può erigere qualcosa di supremamente e mirabilmente inutile che serva solo ad accendere domande e simboleggiare gli innumerevoli misteri della nostra contemplazione del mondo. Come Castel del Monte.

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