Il Decreto sostegni bis conferma la differenza di stile e di approccio rispetto al passato, la cifra del Presidente Draghi è quella della condivisione con le parti sociali, delle poche parole dette al momento giusto e della volontà di concentrarsi sulle cose essenziali.
In particolare, vi sono due elementi da sottolineare che riguardano la visione di fondo e quindi il come le risorse verranno allocate e utilizzate. Il primo è la concezione e l’utilizzo della leva del debito pubblico. Con il nuovo governo si è subito posta una netta linea di demarcazione tra debito buono e debito cattivo, ossia tra debito che serve concretamente per la ripresa economica e al contempo per un’azione di tutela sociale e debito che non serve a raggiungere né il primo né il secondo obiettivo. L’altro elemento rilevante è la consapevolezza che l’unico modo per salvare e tutelare le nostre imprese è quello di rimettere in moto l’economia riaprendo subito e ridando fiducia al Paese, concentrandosi e sostenendo direttamente e indirettamente specifici settori anche in base alla stagionalità dell’attività produttiva. L’anticipo delle riaperture per salvare la stagione estiva ne è la rappresentazione plastica.
Da un’analisi contestuale dei due Decreti Sostegni e del Documento di Economia e Finanza (Def) si percepisce peraltro una strategia di politica economica e di tutela delle imprese condivisibile e concreta; la mano del Presidente Draghi e dei ministri Franco e Giorgetti è chiaramente riconoscibile.
Da un lato, troviamo la volontà di garantire sostegni mirati e rapidi a famiglie e, soprattutto, a imprese e professionisti per superare una fase ancora complessa, dall’altro, il potenziamento della progettualità del Pnrr che è sempre più visto come un Piano Marshall 4.0. Nello specifico, aumenta l’attenzione alla liquidità delle imprese con la proroga fino a fine anno della garanzia dello Stato sui prestiti, con la volontà di allungare la durata dei prestiti ben oltre i 6 anni oggi previsti, con un nuovo aumento del limite alle compensazioni dei crediti, con la parziale copertura dei costi fissi e con lo sforzo richiesto agli enti locali di sospendere il pagamento di talune imposte. Vi è anche la scelta di compensare le perdite di utile oltre a quelle di fatturato, che è una cosa molto più razionale e oggettiva.
Detto del condivisibile metodo scelto e dei primi risultati ottenuti, appare evidente che anche il Sostegni bis è ancora un’azione difensiva e quindi non in grado di garantire di per sé una ripresa strutturale dell’economia e un recupero di PIL che ci riporti alla situazione del 2019 almeno entro la metà del 2023. Ricordo che la perdita del Pil 2020 nella componente privata è stata di circa 280 miliardi, compensata parzialmente da un aumento della spesa pubblica per 110; la perdita totale, a fronte di un rischio concreto del -15%, si è quindi attestata intorno al -9%. Peraltro, a fronte dei primi timidi segnali di ripresa, si debbono rilevare alcuni elementi che destano preoccupazione: la permanente situazione di forte criticità in alcuni settori economici pesantemente colpiti dalla crisi, la difficoltà a far ripartire i flussi turistici dall’estero, la difficoltà a consolidare i flussi delle esportazioni, l’aumento del costo e la scarsità di talune materie prime che impatterà negativamente sui comparti manifatturieri, la lentezza e i vincoli nel processo di trasferimento delle risorse europee legate al Pnrr.
Tra le leve che il Governo può ancora utilizzare per supportare la ripresa, ve ne sono due di una certa rilevanza: i meccanismi per stimolare i cittadini a investire nelle imprese e nei titoli pubblici almeno una parte dei 1700 miliardi di risparmi liquidi che giacciono sui conti correnti e una più efficace azione per il parziale recupero dei 930 miliardi di crediti in contenzioso tributario che non fanno bene né allo Stato né ai suoi debitori. Con la prima leva è possibile accelerare la immissione nei circuiti economici di risorse private che sono state accantonate per paura o per mancanza di occasioni di acquisto e consumo, permettendo un’accelerazione dei normali cicli economici soprattutto in alcuni settori. Con la seconda leva, mettendo subito mano a un concordato fiscale, che è cosa diversa dal condono, e proponendo alle imprese che hanno accumulato debiti nei confronti del fisco una dilazione fino a 20 anni, senza interessi e con rate costanti, lo Stato può recuperare una parte significativa dei crediti fiscali e previdenziali e avrà quindi risorse fresche per supportare gli investimenti anche grazie allo strumento della cartolarizzazione.
*Professore di Economia Aziendale e Pro-Rettore alla Formazione Manageriale Postgraduate (Università Lum)