Venerdì scorso il Governo ha scelto di imboccare la strada che dovrebbe traghettare il Paese, a partire dal prossimo 26 aprile, verso un graduale ritorno al pieno godimento dei diritti e delle libertà costituzionali. Nel corso della conferenza stampa del 16 aprile, con «prudente ottimismo», il presidente del Consiglio dei Ministri ha annunciato la decisione dell’Esecutivo di volersi assumere un «rischio ragionato»: quello, appunto, del ripristino progressivo di alcune libertà tutelate dalla Carta repubblicana. Stiamo parlando, nella specie, delle libertà economiche (riaprono, purché dotati di spazi all’aperto, bar, ristoranti e palestre); della libertà di circolazione e soggiorno (ci si potrà nuovamente spostare tra Regioni che tornano “gialle” e, purché muniti di un Pass che certifichi di aver ricevuto il vaccino o di essere immuni al virus, anche tra quelle di più intenso “colore”); e, non da ultimo, del diritto all’istruzione (le scuole riapriranno in presenza nelle zone “gialle” e “arancioni”, mentre in quelle “rosse” si applicherà un sistema di didattica “mista”).
Stando a quanto ormai è di pubblico dominio, il Governo avrebbe agito in autonomia, senza ascoltare il parere dei tecnici e degli scienziati che albergano l’ormai famigerato Comitato Tecnico Scientifico (CTS). Organo, quest’ultimo, che dalla data della sua istituzione (il decreto del Capo Dipartimento della Protezione civile che lo istituisce è il n. 371 del 5 febbraio 2020) ha pressoché sorretto la volontà politico-normativa di tutti i provvedimenti adottati dal precedente Esecutivo, al fine di contrastare – quanto più possibile razionalmente – l’emergenza pandemica. A cominciare, naturalmente, dai tanto discussi e discutibili dd.P.C.M., decreti dalla natura giuridica “ancipite” (in quanto al contempo provvedimenti sia normativi che amministrativi) il cui contenuto è stato volta a volta precipuamente occasionato dalla tragicità dei dati relativi ai contagi, rilevati e gestiti proprio dagli esperti del CTS. E veniamo così al punto che qui si vuol mettere in risalto. Il Governo tecnico-politico di Mario Draghi, per la prima volta in netta discontinuità con le scelte del precedente Esecutivo, ha “sovvertito” tale prassi, optando per il non coinvolgimento degli esperti nella delicatissima scelta di anticipare le riaperture.
Con la conseguenza, questo il dato che più rileva sul piano costituzionale, che il contenuto del prossimo decreto apparirà maggiormente conforme alla legalità costituzionale non soltanto sotto il profilo formale (anche questo, come l’ultimo adottato, sarà un Decreto-legge, non un d.P.C.M.), ma anche sul piano sostanziale. Invero, la scelta del Governo di non audire il parere dei tecnici, sortisce l’effetto di “depurare” il provvedimento normativo dalle cosiddette «evidenze scientifiche», lasciando che la fonte giuridica torni ad essere il prodotto della prevalente volontà dell’organo di indirizzo politico. Al centro, insomma, torna ad esserci “la politica”, seppur precipuamente determinata dal Governo e non dalle Assemblee legislative (ma questo è un capitolo altro).
Detto ciò, non si possono però sottacere alcune perplessità. Che cosa significa, in realtà, «rischio ragionato»? Qual è la natura dei «calcoli» che il Governo avrebbe effettuato al fine di ritenere possibile la riespansione delle libertà costituzionali in tendenziale sicurezza? Qui pare che si faccia un po’ di confusione tra due categorie che, sebbene tra loro siano in grado di dialogare, debbono purtuttavia restare distinte sul piano logico. Parlare di rischio «ragionato», infatti, non significa anche presupporre che esso sia stato rigorosamente calcolato, in qualità di rischio «razionale». La «ragionevolezza» è una cosa molto diversa dalla «razionalità». Mentre la prima rappresenta un canone di valutazione, aperto e flessibile, adottato nei giudizi di costituzionalità al fine di moderare proprio la discrezionalità del legislatore (Corte cost., sent. n. 172 del 1996), la seconda attiene invece a quel metodo di lavoro adottato dagli scienziati che impone la continua verificazione dei dati oggetto di osservazione e, dunque, la predilezione per quei risultati che meglio resistono ai vari tentativi di falsificazione.
Che significa tutto ciò? A questo punto non è difficile intuirlo: la decisione del Governo di anticipare le riaperture, anche se ragionevole, non è detto che nel complesso possa risultare razionale. Se avessero ragione alcuni studiosi a dire che le «evidenze scientifiche» rendono prematura ogni ipotesi di allentamento delle restrizioni, il rischio, più che «ragionato», potrebbe rivelarsi «insensato».
Ricatapultando, proprio nella stagione calda, il Paese in lockdown. Ad ogni modo, qualunque saranno gli esiti del tribunale della storia, nei prossimi mesi c’è da aspettarselo: probabilmente si discuterà non poco di quelle che saranno le conseguenze di tali scelte – “puramente” politiche – fatte dall’Esecutivo. Evidentemente c’è in ballo una questione di straordinaria importanza. Quella che attiene, nella (post)modernità, ai complessi rapporti che intercorrono tra scienza e politica, da cui, verosimilmente, dipenderanno gli stessi sviluppi delle nostre democrazie costituzionali. Karl Popper ci ha insegnato che la scienza è il regno delle verità provvisorie e sempre discutibili. Mai come oggi, visti i mesi che ci attendono, c’è da auspicare che abbia “ragione” e che, la politica, possa continuare a svolgere la sua parte.
*Costituzionalista nell’Università degli Studi di Bari “A. Moro”