Appuntamento con l'approfondimento giuridico economico della Gazzetta nella rubrica online
La Bilancia e il Bilancio
A livello globale l’Italia è il sesto esportatore del settore alimentare, con una quota di mercato nel 2018 pari al 3,8%. Il Sud, con un VA agroalimentare di circa 19,5 miliardi di euro, costituisce un terzo del dato nazionale (la Puglia 4,1 miliardi di euro), con un export verso 192 dei 207 Paesi ed un valore di 8,2 miliardi, pari al 18% del dato nazionale. Nel 2020 il Sud ha visto un incremento percentuale di export pari al +6,7%, contro il +1,8% nazionale.
Nonostante il posizionamento internazionale e sebbene il maggior numero di imprese della filiera appartenga alla fase agricola, la quota di valore aggiunto degli agricoltori non mostra alcuna crescita. I produttori non riescono ad aumentare il loro potere contrattuale e di mercato e sono caratterizzati da una bassa integrazione, condizione che impedisce loro di contrastare efficacemente l’attuale trasmissione asimmetrica dei prezzi lungo la filiera.
Le politiche per le attività produttive rappresentano il fattore determinante dello sviluppo locale, avendo effetti diretti sullo sviluppo imprenditoriale, sul livello occupazionale e sulla ricchezza individuale e collettiva dei territori. Il mantenimento di una solida struttura demografica, infatti, rappresenta la condizione essenziale per qualsiasi processo di sviluppo locale duraturo e sostenibile
In questa direzione è intervenuta la Politica Agricola Comune (P.A.C.), il cui obiettivo n. 3 corrisponde ad un unico grande indicatore: migliorare la posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare, promuovendo il rafforzamento della cooperazione tra gli agricoltori e l’incremento delle sinergie nelle catene del valore, migliorandone il funzionamento attraverso relazioni commerciali fair ed aumentando la trasparenza delle informazioni.
Per accrescere la quota di margine degli operatori agricoli e per rispondere alla crescente domanda di qualità e servizi, sono fondamentali gli strumenti volti alla concentrazione e alla qualificazione dell’offerta. Le politiche europee hanno individuato nelle Organizzazioni dei Produttori (O.P.) il soggetto preposto a programmare, concentrare e qualificare l’offerta agricola, favorendo il miglioramento della posizione contrattuale dei produttori nei confronti delle controparti, ovvero grossisti, intermediari e dettaglio moderno.
Introdotte dal Reg. (UE) n. 1308/2013 e Reg. Delegato (UE) n. 232/2016, le OP e le AOP (Associazioni di OP) hanno la finalità specifica di pianificare la produzione ed adeguarla alla domanda, in termini di quantità e qualità; concentrare l’offerta ed immettere sul mercato la produzione dei propri aderenti, anche mediante commercio diretto; ottimizzare i costi di produzione e la redditività degli investimenti; fornire assistenza tecnica per il ricorso a standard di produzione; gestire il ciclo dei rifiuti e dei sottoprodotti; infine – se previsto –gestire i fondi di mutualizzazione.
Le OP possono avere assumere varie forme giuridiche, fra cui quella di cooperativa agricola e loro consorzi, società di capitali, società consortili di cui all’art. 2615-ter c.c., costituite da imprenditori agricole o loro forme associate.
Per essere riconosciuta, una OP deve essere stata creata, costituita e controllata su iniziativa dei produttori in possesso di fascicolo aziendale; presentare una richiesta al paese UE in cui ha sede; svolgere almeno una delle attività ed obiettivi sopra menzionati; garantire un minimo di produttori associati ed un volume minimo di affari in termini di produzione commercializzata, ceduta o conferita dai soci, non inferiore a determinati quantitativi stabiliti dalla normativa di dettaglio ed attuativa.
Gli statuti delle OP disciplinano la vita sociale e devono consentire ai soci il controllo democratico delle decisioni, nonché le relative modalità di adesione che comportano l’obbligo di permanenza nella OP per un periodo minimo di 1 anno. Lo statuto, infine, deve prevedere alcuni specifici obblighi per i soci, tra cui quello di cedere o conferire alla OP la prevalenza della propria produzione in termini di quantità o volume; di aderire ad una sola OP, per quanto riguarda la produzione di un determinato prodotto. Infine, lo statuto dovrà prevedere un meccanismo affinché le decisioni non possano essere prese da soci non produttori. Tale categoria sociale, infatti, non può rappresentare, complessivamente, più del 10% dei diritti di voto e non può assumere cariche sociali, tantomeno potrà beneficiare di eventuali contributi derivanti dall’appartenenza alla OP.
Le OP, riconosciute in base a tali attività, possono agire sul mercato in deroga al diritto della concorrenza (art. 101 par. 1 del TFUE), e quindi possono pianificare la produzione, ottimizzare i costi di produzione, immettere i propri prodotti negoziando per conto dei propri soci; è consentita la contrattazione collettiva per conto dei loro membri, la pianificazione della produzione o alcune misure di gestione dell’offerta. Tuttavia, le attività in deroga alle norme sulla concorrenza possono avere luogo purché siano effettivamente esercitate per il conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 39 TFUE ed in generale purché non siano in contrasto con gli obiettivi della PAC.
A questo strumento, il legislatore europeo ha affiancato le Organizzazioni Inteprofessionali (O.I.), il cui obiettivo generale è quello di regolare e migliorare i rapporti interni alla filiera, fungendo da piattaforma di dialogo, promuovendo le migliori pratiche e la trasparenza del mercato. Le Organizzazioni Interprofessionali sono quindi costituite e composte da rappresentanti delle attività economiche connesse alla produzione.
I due strumenti di derivazione europea, quindi, sono finalizzati alla promozione di un settore agricolo intelligente, resiliente, diversificato e correttamente integrato nella filiera.
*membro di Filiera21 – Giuristi per l’Agroalimentare