VERA SLEPOJ*
Mettere in pericolo la nostra vita, in particolare per gli adulti che verranno - i nostri figli - non è solo un obiettivo della Jihad o dell’Isis o frutto della scarsa attenzione all’immigrazione costante e capillare, ma è anche lo scopo del Blue Whale, arma terribile e silenziosa che giunge oscura e imprevista attraverso Facebook, un social a volte perverso, minaccioso e mortale.
Sottovalutare Facebook era già un problema che delineava la scarsa valutazione quasi patologica delle famiglie italiane, che consiste nel non considerare il peso, il linguaggio e una formazione che ora passa attraverso Facebook. Tutto ciò vuol dire non comprenderne i dettagli o il condizionamento.
Oggi, negli adolescenti trova sempre meno spazio la vita reale, quella costruita sulla quotidianità, sulla realtà, su esempi che consentano all’individuo di maturare un consapevolezza, una possibilità di scegliere o di mettere in atto un proprio modo di essere (un profilo reale), la personalità che nel divenire consente ad ognuno di noi di pensare di avere in mano la propria vita o l’idea del mondo. Nell’assenza di una famiglia, di un linguaggio e di una comunicazione quotidiana capillare, quel mondo che ha consentito, nel bene o nel male, a intere generazioni di crescere, nel vuoto di genitorialità in atto si inserisce il Blue Whale, la morte nel social che addestra ad uccidere gli adolescenti, fragili e caparbi, conclusione paradossale non solo di un’epoca, logica conseguenza del ruolo assente dello Stato e della famiglia.
Non si sa chi sia il curatore e il gestore della balena azzurra, nome mistificante per ammiccare al giovinetto con un logo a cui simbolicamente aggrapparsi dentro le sue ansie, rendendo caratterizzanti le angosce, addestrandolo all’orrore, mortificandone l’ansia esistenziale, capace così di costruire un legame simbiotico che in famiglia magari non c’è. Sono solo alcuni ingredienti del gioco mortale fatto su Facebook per costruire la propria distruzione nel legame paradossale con un comunicatore che rischia di essere più potente dell’Isis, con l’obiettivo di distruggere le nuove generazioni, portandole allo spiaggiamento psicologico imitando quello più complesso delle balene.
L’autolesionismo è una patologia psichiatrica ben nota ed è un rituale che si mette in atto quando è presente un’alterazione mentale, un disagio psicologico nella relazione con gli altri, il dolore fisico che il soggetto si provoca paradossalmente per cercare di spostare dolori più profondi. Tutto ciò è all’origine della patologia stessa e dei rituali del Blue Whale.
Questo autolesionismo si attua in 3 momenti: il condizionamento, la manipolazione e l’ossessione. Tutto inizia con l’adesione, in particolare con l’incisione a sangue del numero 157 sul braccio, poi ogni fase, ogni tappa implica un taglio, una ferita. Il sangue da sempre ha sancito i rituali di ogni festa organizzata, di ogni legame manipolatorio, fatto per impedire all’individuo di avere una propria idea personale. Ci sono 2 condizionamenti tipici per mettere in atto un pensiero violento che si riflettono nei soggetti fragili: esiste il ricordo di questi comportamenti, le tecniche di tortura psicologiche o fisiche dei regimi totalitari antidemocratici. Svegliarsi alle 4.20 del mattino è uno di questi strumenti; così si indebolisce la volontà, si crea lo stress dalla perdita del sonno. C’è la messa in atto dei rituali per far perdere il controllo, come il guardare film di dolore e di violenza, si abitua a concepire quella violenza ed a farla entra come inevitabile pensiero nella tua testa.
Tutto finisce con il grande rituale della morte, programma di esaltazione dell’idea di una presunta libertà che passa attraverso il precipitare dall’ultimo piano di un grattacielo, la forma di liberazione da una testa che non ti appartiene più.
Questa forma di terrore cresce e si alimenta nel modo culturale come interpretazione alternativa del concetto di libertà, entra nelle case e fa perdere le sue tracce, sfruttando la poca attenzione verso i figli da parte dei genitori, i quali ne ignorano il pericolo, guardano altrove e hanno una visione subculturale su internet. Tutto oramai arriva e si riproduce dal grande mondo di internet, per fermare questa ondata di pericolo Facebook andrebbe proibito finché non si è maggiorenni e quindi capace di scegliere e decidere.
Viceversa i genitori, soprattutto italiani, sembrano vedere Facebook ed internet in generale con euforia, come una sorta di stordimento sociale, dando in mano ai figli minorenni la gestione della loro vita, pur giovanissimi, con telefonini, internet, Whatsapp, Youtube. Questo modo di intendere l’educazione dei propri figli può far diventare il mondo una sorta di Isis senza kamikaze, un emoticon, una guerra dove invece delle mine messe lungo le città di guerra, ci sono delle forme di «intrattenimento digitale» create per essere prese e poi fatte esplodere fra le mani di bambini curiosi. Questo è qualcosa che si avvicina molto a quello che oggi rappresenta Blue Whale, un nuovo pericolo che viene da Facebook e che non ha precedenti esperienziali.
Ci potremmo così trovare di fronte ad un abisso del male, una sorta di pericolo per l’infanzia e per le nuove generazioni, manipolabili da un sistema che riesce a controllare i nostro figli. Indaghiamo sulla vita e le abitudini dei nostri figli, controlliamoli, anche attraverso nuovi metodi. Cerchiamo di essere adulti consapevoli dei rischi che i più piccoli corrono, prendendo il prima possibile in mano il controllo della vita dei nostri figli, senza demagogie. Loro da soli non possono farcela.
*psicologa e scrittrice