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Bari, vecchi vizi e nuove virtù: saper soffrire è una necessità

 
ANTONELLO RAIMONDO

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ANTONELLO RAIMONDO

 Bari, vecchi vizi e nuove virtù saper soffrire è una necessità

L’ambiente biancorosso è carico a mille. C’è la consapevolezza di avere tutte le carte in regola per poter centrare l’obiettivo

Lunedì 20 Luglio 2020, 08:58

BARI - Le finali son così. Vanno vinte più che dominate. Gestendo più che alzando la «voce». Andando oltre limiti e difficoltà. Perché è difficile che cambi tutto in pochi giorni e che, dopo continui segnali durante la stagione regolare, proprio sul più bello ci scappi la guarigione definitiva. La sfida è tutta qui. Trasformare i difetti in una risorsa. L’imperfezione come strumento per ottenere il massimo.

Del Bari sappiamo, ormai, praticamente tutto. Della sua forza e delle sue fragilità. Che anche in questi playoff sono emerse in modo inequivocabile. I valori tecnici, una sicurezza. La profondità della rosa, anche. Una guida autorevole, Vivarini. Una società forte, la classica ciliegina sulla torta. Però, poi, in campo succede che ci sia spesso da soffrire. Perché il potenziale sul piano individuale non si è trasformato in una realtà collettiva di primissima scelta. Al Bari è mancato l’ultimo step. Quello della consapevolezza di essere una grande squadra. Troppe volte a questa squadra è mancata la capacità di essere dominante. Troppe volte questa squadra non ha saputo gestire situazioni che una squadra costruita per vincere subito non può non saper gestire. Tutti quei pareggi che assomigliano a occasioni perdute. Partite sbloccate, praticamente in pugno. Ma poi mal condotte lasciando forte la sensazione di un gruppo che sul piano della mentalità è una sorta di incompiuta.

Anche l’altra sera, lasciando da parte l’eccezionalità dei tempi supplementari, il Bari ha chiuso l’ennesima partita in pareggio. Nonostante un gol abbastanza veloce e la possibilità di giocare nelle migliori condizioni sul piano tattico, per giunta contro un avversario che ha scelto di difendere costantemente nella trequarti avversaria. Queste partite, una grande squadra non può non vincerle. Perché una grande squadra sa chiuderle e perché una grande squadra un gol come quello che ha subìto il Bari non lo prenderebbe mai. Ecco perché il campionato l’ha vinto, meritatamente, la Reggina.

Il Bari, però, resta forte, a volte fortissimo. E ora ha tutte le possibilità per portare a casa la seconda promozione consecutiva. Le istruzioni per l’uso, pensando alla finalissima di mercoldì sera a Reggio Emilia, sono abbastanza chiare. E chiamano in causa la possibilità, anzi il dovere, di partire dai propri limiti. Quando non puoi guarire dall’oggi al domani non ti resta che raddoppiare gli sforzi sul piano mentale. Le finali si giocano soprattutto con la testa. Le vince chi è più freddo, chi gestisce al meglio le emozioni e, soprattutto, le pressioni. E sì, perché quando sei a un passo dal traguardo è inevitabile che ti passino per la mente tutti i flash di una stagione lunga e tortuosa, per certi versi addirittura anomala. E spunta, subdolo, quel nemico invisibile che si chiama paura. Vince solo uno, gli altri vanno all’inferno. È la dura legge dello sport.

A Reggio Emilia per tatuarsi sul cuore il verbo della vittoria. Portandosi addosso l’orgoglio e l’ambizione di una città che vive di pallone. A Reggio Emilia per gridare al mondo intero che il Bari è storia, emozione, forza. Le finali non durano mai un giorno solo. Prima e dopo c’è tutta un mondo. E allora che scatti finalmente il conto alla rovescia.

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