Forse è stato l’unico a vedere il Bari nascere e crescere quotidianamente. Matteo Scala è stato l’angelo custode designato dalla famiglia De Laurentiis al club biancorosso. 38 anni, genovese, sul piano formale ricopre la carica di club manager che, in sostanza, si traduce nell’essere responsabile dell’area tecnico-sportiva e organizzativa. La promozione in serie C è stata anche per lui il coronamento di nove mesi intensissimi. Ma il suo lavoro non è finito qui. Perché ora c’è da costruire il nuovo Bari.
Matteo Scala che sensazioni restano sulla pelle dopo la promozione in C ed i festeggiamenti di domenica scorsa?
«Ho provato la gioia più intensa della mia carriera sportiva. Ho vissuto con il Carpi sette anni ricchi di soddisfazioni poiché raggiungemmo la serie A partendo dalla C. Tuttavia, il coinvolgimento di una città grande come Bari, l’affetto dei 20mila del San Nicola è stato unico. Chi pensa che abbiamo attraversato un anno semplice di sbaglia di grosso: siamo passati attraverso mille difficoltà. Ma ne siamo venuti fuori come volevamo».
Vuole dire che ci sono stati frangenti in cui ha temuto di non vincere il campionato?
«No, perché la volontà ferrea della società era costruire una squadra che tornasse immediatamente tra i professionisti. Ma siamo partiti pur sempre ad agosto inoltrato, non c’è stato il momento di “settarci”: occorreva partire forte e vincere. Dopo i primi quattro turni coincisi con altrettanti successi larghi si poteva generare l’idea che sarebbe stata una passeggiata. Invece, abbiamo pareggiato con Turris e Marsala. In quel frangente è stato indispensabile riorganizzare il lavoro: non a caso è arrivata la lunga serie che ci ha reso irraggiungibili. L’altra criticità è stata dopo i ko con Cittanovese e Turris: un altro management avrebbe potuto mettere in discussione qualche figura. Invece, proprio allora la proprietà ci ha sostenuto fermamente. È una dimostrazione di come il Bari sia finito nelle mani di autentici fuoriclasse».
L’avvento dei De Laurentiis può davvero rappresentare la svolta per il Bari?
«Bari ha pagato un prezzo molto caro negli ultimi otto anni, culminati con il fallimento. Ma il futuro è scritto: questo club tornerà nel grande calcio. La parola d’ordine dei De Laurentiis è “organizzazione”. La loro conoscenza della materia, il loro spirito d’iniziativa rappresenta il top in Italia. Per usare una metafora, questa città ha pescato dalla polvere un biglietto della lotteria».
Pesa lavorare in una piazza a cui il presente va irrimediabilmente stretto ed è quindi sempre proiettata al futuro?
«Scegliendo quest’avventura eravamo consapevoli che si aveva tutto da perdere proprio perché le aspettative sono massimali. Vale per i calciatori, per lo staff tecnico, per i dirigenti. Ma non ha pesato. Per le potenzialità immense di una piazza che ama la sua squadra e vive di calcio. L’intuizione dei De Laurentiis è stata proprio capire questo aspetto. Io, poi, vengo dal basso: essere qui è un sogno».
A proposito: può svelare come è approdato al Bari?
«La scorsa estate avevo chiuso il mio rapporto con il Carpi: avevo bisogno di staccare la spina. Mi ero iscritto al corso per direttori sportivi e mi aveva contattato una squadra di Lega Pro con cui avrei dovuto sostenere un colloquio. Il sei agosto è arrivata la telefonata del Bari: ho fatto le valige e ho raggiunto la famiglia De Laurentiis a Zurigo, dove era in tournèe con il Napoli. Ho accettato in bianco, senza parlare né di cifre, né di mansioni. Al Bari si dice sì e basta».
Proiettarsi alla serie C è inevitabile: quale sarà il futuro del tecnico Cornacchini e dell’idolo Brienza?
«Fino al termine degli impegni agonistici, ogni discorso è prematuro. Nelle fattispecie, Cornacchini e Brienza sono state due precise scelte della società che affronterà discorsi ad hoc con entrambi. Le qualità tecniche e umane di Brienza sono note. Cornacchini, invece, l’ho conosciuto qui: è una persona seria, leale. Privilegia il lavoro alla facile ribalta, proprio come me. Ha inculcato al gruppo il dovere che l’obiettivo generale viene prima di qualsiasi traguardo personale e ha instaurato con tutti un rapporto schietto. Sono doti che in un ambiente di lavoro fanno la differenza».
Che campionato troverà il Bari in Lega Pro?
«Ci saranno realtà di rango, ma non mancheranno analogie con la serie D: calcio fisico, campi piccoli, qualche ambiente complicato. Ma il nostro verbo sarà ancora vincere».
A proposito di ambienti, quali sono state le trasferte più complicate di questo campionato?
«Troina sul piano logistico: siamo arrivati con lo stomaco ribaltato. Nocera perché abbiamo trovato molta antisportività. Ma certi atteggiamenti riscontrati a Sancataldo davvero hanno fatto paura».
Per la C come dovrà riorganizzarsi il club?
«Bisogna potenziare alcuni asset. Dovremo allestire almeno tre compagini sul settore giovanile: Beretti, Allievi e Giovanissimi. Ma il lavoro svolto con la Juniores è una discreta base. La società ci ha chiesto di individuare nuove figure di supporto e di rafforzare i rapporti con le realtà del territorio nel quale dobbiamo essere un riferimento».
Il cambio di regolamento con l’abolizione di liste e distinzioni tra under e over sarà un vantaggio per allestire una squadra competitiva?
«Ci sarà l’opportunità di trattenere calciatori di nostra proprietà che sono meritevoli di giocare in C senza il limite dei 14 over, così come si potrà scandagliare più ampiamente il mercato. Ma vale sempre la regola di non sbagliare le valutazioni tecniche».
Ha detto che i De Laurentiis sono imprenditori “top”. Ma pensa che il presidente Luigi ha dichiarato di sentirsi sempre più barese: pensa che si stia facendo trascinare sul piano sentimentale?
«Senza dubbio. Bari lo ha conquistato. In questa stagione ha esultato e sofferto con noi. E domenica scorsa aveva gli occhi lucidi. Quel pubblico meraviglioso lo ha commosso. Ha detto ai tifosi che porterà il Bari in alto: sono certo che manterrà la promessa».