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«Nessuno dei monasteri di Lhasa è accessibile, ed è difficile dire quando riapriranno», ha dichiarato in via riservata un funzionario dell'Amministrazione Turistica Tibetana, ente pubblico dominato dai lealisti. «Questa», ha ammesso lo stesso funzionario, che ha peraltro preteso di rimanere anonimo, «è una questione che va al di là dei nostri poteri». Come dire, il pugno di ferro è deciso e gestito direttamente da Pechino.
Stando all'inviato del quotidiano 'The Wall Street Journal', facente parte della delegazione di giornalisti ammessi a visitare il Tibet, in ognuno dei templi di Lhasa i monaci sarebbero rimasti segregati dal 14 marzo scorso: il reporter non soltanto lo avrebbe appreso dagli interessati, ma se lo sarebbe sentito confermare persino da fonti governative locali, ovviamente anonime.
I tre principali monasteri della capitale tibetana, quelli di Drepung, Ganden e Sera, sarebbero circondati da squadre delle unità speciali della polizia; gli agenti in assetto anti-sommossa sarebbero armati fino ai denti, pronti a stroncare il minimo tentativo di rompere il blocco. Per tale ragione i tre templi non sarebbero stati inclusi nella lista dei siti buddhisti dove i giornalisti in visita sono potuti entrare.
«Per quanto ne sappiamo», ha nel frattempo denunciato ancora Chilain, «alcuni separatisti dentro e fuori dalla Cina stanno cercando di sabotare la staffetta della torcia olimpica in territorio tibetano. Noi comunque», ha ammonito il vice presidente dell'amministrazione pro-cinese, «siamo fiduciosi, e in grado di garantire la sicurezza della staffetta olimpica, e di condurre la torcia fino al culmine». È previsto per lunedì prossimo l'arrivo a Pechino, dove i Giochi si disputeranno dall'8 al 27 agosto, della fiamma che simboleggia l'Olimpiade.