Professor Gianfranco Viesti, economista e saggista, il Piano di Ripresa e Resilienza è arrivato a fine corsa senza passaggi intermedi. Un errore?
«Resto della mia idea. Se l’avessero sottoposto a una discussione collettiva, anche di una sola settimana, sarebbe stato tecnicamente migliore. Le tantissime organizzazioni e gli esperti coinvolti avrebbero potuto fare un vaglio pagina per pagina».
Ora la partita è chiusa....
«Non del tutto. Con l’invio del Piano alla Commissione europea non finisce il mondo nel senso che alcune componenti sono chiare, definite. Altre sono in itinere. Mi riferisco a bandi, criteri. Quindi le forze sociali, che invito a seguire con attenzione il prosieguo del percorso, potranno condizionarne l’impatto».
Cominciamo dal primo punto: le riforme, dalla pa alla Giustizia. Il capitolo è corposo. La convince?
«La parte delle riforme è sicuramente aumentata ma la faccenda è ambivalente».
In che senso?
«Ci cose molto giuste. Aver affrontato di peso il tema della giustizia, della semplificazione, dell’apertura alla concorrenza è certamente positivo»
È in arrivo un ma...
«...ma non vorrei che ci si aspettasse troppo da questa azione di cambiamento delle norme. Sembra un documento di 25 anni di quelli in stile “fare le riforme strutturali per ridare slancio al Paese”».
Non ritiene che l’impatto sulla crescita sarà quello previsto?
«Le stime mi lasciano perplesso. Di fatto però la spinta viene dagli investimenti molto più che dalle riforme. La cesura rispetto al passato è in questi due nodi: investimenti pubblici e potenziamento dei servizi pubblici. Sanità, scuola, trasporti. Ad esempio, aver rinforzato la parte sull’istruzione è certamente un bene».
Stringiamo la telecamera sul nodo cruciale: il Sud. Per alcuni la destinazione del 40% delle risorse è una grande vittoria, per altri la partita è ancora tutta da valutare. Lei dove si colloca nello spettro dei giudizi?
«Il problema è che non mi sembra ci sia una visione particolarmente chiara del ruolo che il Sud potrà svolgere nel prossimo decennio. Possiamo dedurla con una ricostruzione a mosaico ma temo manchi una individuazione precisa delle grandi leve della ripartenza».
Questo in generale ma la quota del 40%?
«Spero che la percentuale non sia influenzata dai progetti vecchi perché manca la tabella, chiesta da più parti, con l’indicazione del peso dei progetti nuovi».
C’è un problema di comunicazione?
«Orma la linea del “vi abbiamo dato tanti soldi” non funziona più, soprattutto in riferimento al Sud. Sarebbe stato meglio raccontare ai cittadini di Bari come cambierà la loro vita da qui al 2026. Forse non si è fatto per mancanza di tempo. Ecco, ora sarebbe il momento di iniziare».
Le infrastrutture sembrano il principale volano per il Sud. Eppure, al netto del fondo extra, le polemiche non sono mancate: finanziamenti per l’Av più forti al Nord, niente dorsale adriatica, si premia chi può partire subito con le opere anziché chi ha maggiori difficoltà.
«Bisogna stare attenti. L’Alta velocità è importante ma le reti locali lo sono di più: i pendolari sono un popolo più numeroso di chi si serve delle frecce. La valutazione finale è complessa. In ogni caso sono tutte obiezioni sensate. Aspettiamo però il parere di Bruxelles e soprattutto i percorsi di attuazione».
A proposito di attuazione, ritiene anche lei che serva l’istituzione di una cabina di regia nazionale per monitorare e controllare il processi attuativi? Gli enti locali spesso non hanno dato grande prova di sé.
«ll monitoraggio è fondamentale. Per la spesa, certo, ma ancora di più per i risultati concreti che la spesa produrrà. Ed è importante che sia un monitoraggio territorializzato: spesa e risultati per ogni Regione».
Infine, professore, Bruxelles darà via libera la piano?
«Non è un piano improvvisato e poi, per motivi politici, le grandi linee sono condivise. Potrebbero però arrivare richieste di chiarimenti e solleciti sui dettagli e soprattutto sui numeri. Quel 40%, appunto, che al momento sembra più una dichiarazione di intenti»