Venerdì 24 Ottobre 2025 | 16:36

Quei sette milioni di italiani che pagano le tasse per tutti

Quei sette milioni di italiani che pagano le tasse per tutti

 
Lino Patruno

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Lino Patruno

Quei sette milioni di italiani che pagano le tasse per tutti

È il famoso ceto medio. Il quale di anno in anno si impoverisce sempre più perché non solo deve sempre pagare anche per gli altri

Venerdì 24 Ottobre 2025, 13:00

Metti che ti dica: quasi la metà degli italiani vive con una media di 10mila euro l’anno. Quasi la metà degli italiani significa uno su due. Diresti che non ci credi, anche andando in giro non si ha un’idea che si stia così rovinati. Infatti si sta molto meglio. Ma quelle cifre da Paese morto di fame vengono dalle dichiarazioni dei redditi: il 43 per cento degli abitanti non paga un centesimo di Irpef.

Il 43 per cento sono più di 25 milioni di persone, appunto quasi una su due. Le quali davvero devono sopravvivere con 833 euro al mese, davvero possono dire fate la carità a un povero italiano. Oppure molto più semplicemente non dichiarano i redditi che hanno. Popolo di santi, poeti, navigatori e di evasori fiscali. O di furbetti (e parassiti) che vivono alle spalle degli altri.

Beh, però, non esageriamo, così non diamo una buona impressione. Di italiani onesti, ce ne sono 14 milioni che pagano fra i 26 e i 296 euro l’anno, una media di 100: e francamente bisogna apprezzarne lo sforzo. Quasi tutta l’Irpef (il 77 per cento circa) è pagata da quasi 7 milioni di contribuenti, quelli che guadagnano dai 35 mila euro lordi all’anno in su. Che così pagano non solo per sé stessi, ma anche per tutti gli altri: quelli ignoti al fisco, o quelli così appena appena noti da muovere a compassione per le loro condizioni.

Tu dici ancora: di cosa si lamentano, sono ricchi. Così in questo sempre più straordinario Paese i ricchi finiscono per essere i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e i pensionati. Cioè i tassati alla fonte, quindi con un prelievo preventivo su ciò che guadagnano. Quelli che, quand’anche lo volessero, non possono sfuggire. E che pagano tanto più quanto gli altri non pagano.

È il famoso ceto medio. Il quale di anno in anno si impoverisce sempre più perché non solo deve sempre pagare anche per gli altri. Ma deve pagare percentuali (aliquote) più alte di quelle che gli spetterebbero se a pagare fossero tutti. Un ceto medio sempre meno medio. Perché a reddito fisso e perché filantropo verso chi proprio pare che non ce la faccia. E col rischio di scivolare man mano in quella povertà relativa che in Italia è crescente (e che secondo gli ultimi dati Istat vede la Puglia prima col 24,3 per cento dei suoi abitanti).

Così non meraviglia che un insegnante o un impiegato siano sempre più espulsi dai centri storici e dalle grandi città. Ma anche un dirigente con quel reddito fisso che è una condanna inesorabile nell’ingiustizia di un Paese ancora chissà come definito civile.

E non basta neanche il titolo di studio, visto che l’impoverimento, in particolare al Sud, riguarda anche chi ha diploma o laurea. E visto che nei centri storici e nelle grandi città le case costano sempre più anche a causa del turismo. Il quale non solo sottrae abitazioni ai residenti che devono andarsene altrove davanti alla cavalcata dei b&b e delle case vacanze. Ma fa aumentare il livello generale dei prezzi perché il turista (e non il residente) è disposto a pagare due euro una bottiglietta di acqua (vuoi che stia a spilorciare anche in vacanza?).

Così succede che la povertà relativa cresca anche al Nord. E succede che a Sesto San Giovanni un pensionato si butti dal balcone quando sente bussare alla porta chi doveva sfrattarlo. Lo vedevano al bar solo all’inizio di ogni mese ma da tempo non lo si vedeva più, forse non poteva più neanche quello.

In una guerra con soli vinti perché se il ceto medio si sposta in periferia facendo anche là crescere il prezzo delle case, i ceti popolari che ci vivevano devono andarsene. In un degrado sociale che riguarda soprattutto la sanità insufficiente e sempre più privata, con sei milioni di italiani all’anno che ormai rinunciano a curarsi. Anche questo devono avere sulla coscienza (coscienza?) gli evasori fiscali.

Questa evasione raggiunge in Italia i cento miliardi l’anno. Cento miliardi aggiungerebbero quasi un 2 per cento al Pil, alle disponibilità del Paese. E invece così sottraggono soldi alla sanità, appunto. Ma anche alla scuola, ai trasporti, all’assistenza agli anziani. Con l’evasore che finisce per ottenere la cura a danno di chi paga anche per lui sottraendola a sé stesso. E col gioielliere che dichiara meno del suo dipendente. Fino all’ipocrisia morale di chi assicura che le tasse le pagherebbe se fossero meno alte, facendo finta di non sapere che sono alte proprio perché ci sono tanti come lui che non le pagano.

È la stessa ipocrisia dei governi che puntualmente vantano di aver ridotto l’evasione, magari a botte di condoni che premiano i disonesti come troppo spesso avviene: conferma dalla manovra finanziaria in corso.

Eppure tutti siamo convinti che contro questa evasione basterebbe applicare piccoli meccanismi che all’estero funzionano da sempre. Ma in Italia l’evasore è considerato elettore prima che evasore. E l’evasione non un furto ai danni della società ma una (anche invidiata) abilità da «dritti». Così li si ammira invece di denunciarli. Cioè ci si impicca pur di non fare un favore all’odiato Stato.

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