La speranza, quella che non delude mai come diceva San Paolo, non è il tempo dell’attesa e nemmeno un concetto astratto. È azione, relazione sociale, costruzione nel presente di ciò che vogliamo che accada nel futuro per noi e per gli altri. Il tavolo nazionale interreligioso dei giovani ha declinato l’idea di «speranza» attraverso dodici parole chiave: coraggio, soglia, riscatto, abito, responsabilità, coscienza, senso, scoperta, promessa, popolo, gioia piena, abbraccio.
Ciascuna di queste parole ha un significato denotativo e uno connotativo, ovvero un significato minimo e uno massimo. Dipende da quanto siamo effettivamente disposti ad accogliere il dono della fede. Dipende dal nostro stato d’animo e dalle nostre aspettative. Ciascuna di queste parole è strumento di costruzione di ponti tra soggetti in età evolutiva e momento di crescita e formazione, nel rispetto della diversità. Un’esperienza di «prossimità», insomma, ispirata all’idea coltivata da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986: il pontefice che ha voluto instaurare un rapporto speciale con questo cluster anagrafico rilevante sotto il profilo sociologico e psicologico.
Il Giubileo dei giovani edizione 2025 si svolgerà a partire da domani e fino al 3 agosto. Sono attese centinaia di migliaia di persone, provenienti da 146 Paesi diversi, alcuni dei quali in balia dei conflitti e alle prese con vere e proprie emergenze umanitarie. Gli europei rappresenteranno quasi i due terzi del totale dei giovani. Saranno decine di migliaia i nostri connazionali. Un’opportunità unica di vivere l’essere cristiani in comunione con Leone XIV, specialmente durante gli eventi organizzati il prossimo fine settimana a Tor Vergata. Alcune situazioni si muovono in continuità con il passato, visto che i Giubilei esistono dal 1300 (il primo lo volle Bonifacio VIII) e presentano delle costanti indipendentemente dalle specificità dei contesti storici, politici, economici, sociali nei quali si sono svolti: l’essere, cioè, uno straordinario evento di fede e di popolo con la finalità contingente dell’indulgenza plenaria, ma in realtà con l’intento di rivitalizzare la propria adesione al cristianesimo e al cattolicesimo.
Altre situazioni, invece, rappresentano vere e proprie novità, in ossequio agli elementi più evidenti di questo primo quarto di secolo, ad inizio millennio. Il riferimento è soprattutto ai temi dettati dalla più stretta attualità internazionale.
Ci sono differenze anche rispetto all’Anno Santo del 2000. Allora a partecipare, dietro il grande impulso di Karol Wojtyla, c’erano alcuni dei genitori dei giovani che in queste ore si riverseranno per le strade semi deserte della capitale e che hanno conosciuto la Chiesa aperta e «in cammino» di Papa Francesco e che ora si stanno misurando con quella in via di definizione di Robert Francis Prevost.
La Chiesa è organizzazione ecclesiastica fatta di gerarchie, di funzioni operative, di regole, di riti e simboli che vengono reiterati indipendentemente dai periodi in cui essa opera e comunica. Ma è anche sensus ecclesiae, ovvero comunità di persone che condividono il senso di appartenenza, i valori, le visioni e i modelli comportamentali. Non sempre è possibile contare sulla spinta dei cosiddetti «cammini giovanili ordinari», di quei cammini cioè intrapresi all’interno di parrocchie, oratori, movimenti nazionali e territoriali. Spesso la scelta è individuale ed assume le sembianze più che altro di una prova con sé stessi per sfuggire ai grandi pericoli del nostro tempo: apatia, relativismo culturale e valoriale, nichilismo, assenza di progettualità futura, primato dell’individuo sulla persona (io sociale), sconnessione dalla realtà, smarrimento, superficialità, riduzionismo concettuale, narcisismo digitale.
Non è un caso, del resto, che durante queste giornate si svolgeranno riflessioni intorno al ruolo dei missionari digitali e degli influencer cattolici. Il digitale è habitat e habitus e in quanto tale comporta enormi implicazioni antropologiche.
Come dice Papa Leone i giovani sono «fari di speranza» poiché illuminano il presente e, a volte anche in modo inconsapevole, costruiscono il futuro. Un futuro che non può prescindere dall’evoluzione testamentaria, la quale punta alla semantica dei giochi linguistici per consegnare all’umanità un messaggio chiaro e potente: si passa dal «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» al «fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te» e, infine, all’espressione, sicuramente più impegnativa e definitiva, ovvero «ama il prossimo tuo come te stesso». Si avanza progressivamente, dunque, dalla negazione all’affermazione e dall’affermazione al paradigma, alla mappa valoriale. Una mappa che contempla la capacità di ascolto e di trasmissione dell’esperienza e della conoscenza, ma anche la rinuncia al giudizio in quanto unica pratica di attribuzione di senso, la reciprocità nell’alveo della inter-generazionalità ed il rispetto.
L’occasione del Giubileo è utile per contrastare nella sfera pubblica mediata la rappresentazione stereotipata dei giovani, raccontati sovente come soggetti troppo fragili e troppo intenti a sopravvivere più che a vivere. Vero è che questa fase del ciclo esistenziale di una persona va preparata con cura, considerando il ruolo di tutte le agenzie di socializzazione primaria e secondaria, le diverse necessità formative, le capacità gestionali a livello culturale, il lavoro, gli strumenti di comunicazione e di informazione, i processi di costruzione identitari, le logiche comunitarie.
Il Giubileo è il contesto più giusto per fare una proposta di sistema, poiché si rivolge a credenti e non credenti. Specie se giovani.
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