Lunedì 08 Settembre 2025 | 09:05

«Nominare, destituire e uccidere»: la fatale parabola dei dittatori

 
Gino Dato

Reporter:

Gino Dato

STATI UNITI - Il presidente Donald Trump

Quella dei dittatori è la categoria di lavoratori che denuncia la più alta percentuale di «incidenti» gravi o «mortali»

Martedì 01 Luglio 2025, 13:30

Quella dei dittatori è la categoria di lavoratori che denuncia la più alta percentuale di «incidenti» gravi o «mortali». Al di là del paradosso, è facile capire questo primato insieme ad altri, come la durata del potere. È facile che, insieme ai leader, ai capi di Stato, alcune di queste figure incappino in attentati, violenze, se non una fine drammatica, di uomini cioè che dominano uno Stato o un’epoca. Governano con il pugno di ferro, trionfano e poi precipitano in virtù dei loro eccessi e delle loro colpe.

La storia e il Novecento sono lastricati di azioni ed episodi dimostrativi che pongono fine o sottopongono a grave pericolo l’esistenza dei grandi personaggi. Basti pensare che in un secolo un presidente su cinque è stato assassinato negli Stati Uniti.

Tralasciamo il lungo elenco per puntare i riflettori su due grandi. Donald Trump è sfuggito a un attentato, oggi è tornato in sella e, monitorando scacchiere infuocate come l’Ucraina e il Medio Oriente, può sfoderare persino una munificenza cauta verso altri pari come Khamenei, il leader supremo dell’Iran. «Sappiamo dove si nasconde, ma non pensiamo a eliminarlo…» ha dichiarato durante il conflitto Trump, aggiungendo: «È un bersaglio facile, ma è al sicuro lì. Non abbiamo intenzione di eliminarlo, almeno non per ora». Almeno fino a quando la pazienza degli americani non si esaurirà.

Tempi duri allora nell’Empireo dei capi, per i bersagli facili dei leader supremi? Tempi duri perché sono comunque sottoposti alle critiche dei sudditi nelle cui menti e cuori la loro immagine e le loro azioni si fissano indelebilmente generando sentimenti contrapposti: odio, amore, ammirazione, vendetta, emulazione. Quando escono dalle loro torri e governano i conflitti del mondo incappano spesso nel sentimento del tirannicidio, mistura esplosiva. Il potere è un simulacro che attira ma che diventa facile bersaglio di insofferenze.

Diventano, a torto o a ragione, essi stessi simbolo dei soprusi o delle ingiustizie che si annidano in eventi terrificanti come le guerre o la conduzione iniqua di popoli e Stati.

Nella vita di un capo, se guardiamo quelli che sul palcoscenico mondiale si dividono la scena dei conflitti, dall’Ucraina al Medioriente, i potenti governano attraverso il trinomio: «nominare, destituire, uccidere».

La tragedia dei Potenti tesse la rete di potere: elevano alle stelle i loro fedeli, in posizioni più o meno subordinate, per farli precipitare a piacimento nelle stalle, ma anche avere una sorta di diritto di vita e di morte.

In una totale reciprocità il trinomio «nominare, destituire, uccidere» può rovesciarsi contro gli stessi condottieri. L’uccidere e l’eliminare ricadono su chi ne fa uno strumento di governo. Perciò i potenti devono guardarsi le spalle e indirizzare le loro sindromi alla costruzione di uno staff affidabile, sicuro. Non infallibile, però, bensì costituito da uomini che possono sbagliare.  E quando è il momento giusto, devono azionare anche la leva delle dimissioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)