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«Universalismo sostenibile», è tempo di scegliere per rilanciare la sanità

 
Francesco Caroli

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Francesco Caroli

«Universalismo sostenibile», è tempo di scegliere per rilanciare la sanità

L’Italia, patria dell’universalismo sanitario. Ma è davvero così? La risposta è sotto gli occhi di tutti: no. Troppo spesso, accedere alle cure dipende da circostanze che nulla hanno a che fare con i diritti

Giovedì 28 Novembre 2024, 13:31

L’Italia, patria dell’universalismo sanitario. Ma è davvero così? La risposta è sotto gli occhi di tutti: no. Troppo spesso, accedere alle cure dipende da circostanze che nulla hanno a che fare con i diritti: disponibilità economica, conoscenze personali o, più banalmente, fortuna. È il paradosso di un sistema che vorrebbe essere equo ma che, in realtà, non avendo risposte per tutti diventa vittima della casualità.

Un’intervista del Prof. Francesco Longo, docente alla SDA Bocconi, su «Avvenire» ci porta davanti a scelte dolorose ma necessarie. Purtroppo, i temi sollevati sono rimasti in sordina nei media nazionali, eppure toccano la vita di ciascuno di noi. Come ha ricordato il Presidente Sergio Mattarella, infatti, la tutela della salute è un diritto fondamentale, e anche il ministro della Salute Orazio Schillaci ha ribadito l’urgenza di riforme strutturali. È dunque il momento di portare questi argomenti al centro del dibattito pubblico.

La situazione è chiara: il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), pur tra i più universali al mondo, fatica a garantire tutto a tutti. Dedichiamo alla sanità solo il 6,3% del Pil, contro il 9% del Regno Unito e il 10% di Francia e Germania. Metà della spesa del welfare italiano va alle pensioni (50%), contro una media europea del 35%, e nel periodo 2023-2027 la spesa pensionistica crescerà di 50 miliardi, sottraendo risorse alla sanità.

A tutto questo si somma un problema demografico gravissimo: siamo il secondo Paese più anziano al mondo, con il 24% della popolazione sopra i 65 anni e un tasso di fertilità tra i più bassi (1,2 figli per donna). Con un rapporto lavoratori-pensionati destinato a diventare 1 a 1 entro il 2050, se non si mantiene un equilibrio demografico, sarà inevitabile restringere i diritti sanitari o abbassare gli standard dei servizi.

Dichiararsi universalistici, infatti, non basta. Oggi il 50% delle visite specialistiche è pagato privatamente e il 30% degli accertamenti diagnostici non trova risposta. Le disuguaglianze crescono: chi ha meno istruzione ed è malato cronico gode di buona salute solo nel 30% dei casi, contro il 70% di chi ha una laurea. Migliorare l’aderenza alle terapie ridurrebbe costi e complicazioni, ma è al 50-60%, e manca un sistema di monitoraggio efficace. Anche i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cardine del nostro sistema, oggi appaiono più un’idea che una realtà. Metà delle visite ambulatoriali è a pagamento, senza distinguere tra cronici e occasionali. Se la coperta è corta, dobbiamo scegliere di spostare le risorse dove servono davvero. Per questo la proposta di Longo merita attenzione: l’universalismo, per essere reale, deve diventare sostenibile attraverso la ridefinizione dei LEA, l’aggiornamento degli standard e ripensando da capo i processi per ridurre sprechi e liste d’attesa.

C’è poi il tema dei non autosufficienti: 4 milioni di persone in questa condizione in Italia, ma solo 280mila sono i posti in Rsa. Le famiglie e gli ospedali portano il peso maggiore, con costi insostenibili: un ricovero ospedaliero costa 400 euro al giorno, contro i 100 di un posto in Rsa. Una proposta concreta è quella di dividere l’assistenza sociosanitaria da quella sanitaria, come avviene in Germania, dove una «mutua della terza età» finanzia queste necessità.

La sostenibilità richiede anche di affrontare il nodo demografico. Le soluzioni possibili sono tre: incentivare la natalità, regolare i flussi migratori accogliendo giovani coppie, come ha fatto la Germania, o ritardare l’età pensionabile.

Senza interventi concreti, il sistema non reggerà. Come cittadini, dobbiamo abbandonare l’illusione che «tutto sia dovuto» e accettare che un sistema equo si costruisce con scelte consapevoli.

La sfida è davanti a noi. Superare la casualità ipocrita di un «universalismo astratto» vuol dire garantire che nessuno venga lasciato indietro. Non è solo una questione di risorse, ma di visione: costruire un futuro in cui equità e sostenibilità convivano. È una responsabilità collettiva, che chiama ciascuno di noi a fare la propria parte: cittadini, istituzioni e comunità devono collaborare per trasformare un diritto proclamato in una realtà accessibile a tutti. Ora è il momento di scegliere, con coraggio.

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