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Demografia e politica: è sempre il Sud a perdere la partita

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Demografia e politica: è sempre il Sud a perdere la partita

La cosa più strana è la trascuratezza con cui la politica tratta la demografia: in fondo, riguardando gli esseri umani, dovrebbe essere al centro di tutte le attenzioni

Lunedì 16 Settembre 2024, 12:47

La cosa più strana è la trascuratezza con cui la politica tratta la demografia: in fondo, riguardando gli esseri umani, dovrebbe essere al centro di tutte le attenzioni. Invece è un tema colpevolmente assente da ogni agenda di governo così come da quelle di opposizione. Forse perché gli esseri umani interessano di più in formato digitale, ormai.

Eppure non è che non esistano motivi per sgranare gli occhi preoccupati. A luglio l’Onu ha reso noto, con il ciclico rapporto «World Population Prospects 2024» il quadro di riferimento demografico globale all’altezza del 2080 che toccherà il picco dei 10,2 miliardi di persone, a fronte degli attuali 8,2, che di per se’ già non non suggeriscono pensieri di intimità. Dunque allarme rosso per l’esplosione demografica che fa da moltiplicatore per tutte le penurie o gli eccessi del secolo: cibo, acqua, verde, materie prime, aria pulita e, di contro, rifiuti, circolazione di veicoli, smog, megalopoli, periferie degradate, impazzimento climatico eccetera... Diremmo, da incurabili ammalati d’immediato, «parliamo del mondo tra quasi sessant’anni, noi non ci saremo e poi chissà quante cose cambieranno».

Forse, ma si tratta di numeri in progress che già agiscono oggi, con gli effetti che ognuno prova sulla sua pelle: vedi al capitolo ambiente. Ma, accanto a questo warning cosmico, ecco che la nostra ISTAT ne lancia uno su misura per l’Italia, che ha un segno del tutto opposto: nel 2080 gli italiani saranno solo 46 milioni, crollando dall’attuale numerosità di 59 milioni. Ed è andata pure bene, perché altre autorevoli ricerche delle Nazioni Unite, come quella della Population Division, prevedono per la fine del secolo un calo fino a 35,5 milioni. Insomma: il genere umano si sviluppa con velocità esponenziali - che mettono in crisi i mezzi di sussistenza secondo le suggestioni malthusiane, rivalutate dai contemporanei- in tutto il mondo tranne che in Italia (e, più in generale, nel quadrante occidentale, Giappone e Corea del Sud comprese).

Per quel che ci riguarda come italiani, impressiona la distribuzione territoriale del depauperamento: mentre il Nord perderebbe «solo» un 9,5%, passando da circa 27 milioni e mezzo a quasi 25, il Centro il 20,5% (perdendo quasi due milioni e mezzo di abitanti), il Sud crollerebbe del tutto, perdendo quasi il 40% degli abitanti, riducendosi dai quasi 20 milioni attuali a poco meno di 12 .

Questi dati, ponderati con acribia scientifica dai ricercatori italiani, squadernano sotto i nostri occhi un quadro complesso e preoccupante. Beninteso: qui non è solo in discussione il destino, che si avvierebbe al definitivo declino, di una media potenza mondiale, comunque tra le prime sette del mondo, onusta di storia e a cui il mondo riconosce crediti universali in tutte le partizioni dello scibile umano, dalle arti, alla scienza, al diritto, in una parola sola: civiltà. Ma il declino è nel Dna dei viventi. È avvenuto per tanti: nel nostro Mediterraneo c’è la piccola Grecia dall’immenso passato a ricordarcelo, dall’altra parte del mondo il Sudamerica degli Inca e dei Maja e potremmo continuare per molto. I demografi fissano a 2,1 figli per ogni donna la soglia per il mantenimento del numero di abitanti di ogni comunità, al netto dei decessi. In Italia siamo ad 1,4. Declino e scomparsa ineluttabili, dunque, come avverte lo statistico Roberto Volpi (Gli Ultimi Italiani. Come si estingue un popolo, 2022). Diciamo, allora, che l’estinzione per la rinunzia a far figli non è il massimo. A questo punto potrebbe sorgere la domanda: ma come mai, a parità di riluttanza a procreare, il Sud- che l’iconografia racconta con profusione di figliolanze in famiglie numerose- perde più del nord? Ma è ovvio: perché i flussi migratori, ancorché d’impatto sudista, non si fermano qui. Vanno al Nord-est, più industrializzato ed attrattivo per la forza lavoro straniera. Perché, se fino ad oggi abbiamo contenuto i danni di un décalage ancora più disastroso della popolazione nazionale, lo dobbiamo ai nuovi ingressi di stranieri, i cui figli sono spesso celebrati campioni sportivi, acclamati persino da Vannacci. Se questa storia avesse una sua morale sarebbe quella di un monito alla politica in due direzioni parallele: da un lato smetterla con le pregiudiziali anti-immigratorie che forse servono per qualcuno a raggranellare qualche voto, ma sono antistoriche e anti-italiane. Qualcuno, infatti, dovrebbe ogni tanto ricordare che in giro per il mondo ci sono 60 milioni tra nostri emigrati e figli, accolti da Paesi stranieri come cittadini. E poi le politiche per la famiglia e per il Sud. Questi ultimi sono capitoli infiniti che possiamo solo citare perché tutti già sanno.

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