Tutti lo chiamavano affettuosamente Titino. Nacque a Bari nel 1934 e perse la vita a soli 44 anni. Suo padre Stefano fu deputato del PSI dal 1953 al 1968, anno in cui passò il testimone al figlio che siederà in Parlamento per tre legislature. Ma l’ultima non la porterà a termine a causa di quella morte ingiusta e prematura. Il testimone passò al fratello minore Claudio, già vicesindaco di Bari, che divenne deputato nel 1979, giusto un anno dopo la scomparsa di Titino. La moglie era Simonetta Lorusso, membro del comitato centrale del PSI e anni dopo assessore comunale.
Lenoci apparteneva ad una generazione di socialisti nati nel barese durante il fascismo, quali Rino Formica, Gianvito Mastroleo, Giacomo Princigalli e Cesare Laterza. Questi ultimi due, nei primi anni ‘50, formarono con Titino un caloroso trio alla scoperta del socialismo, della libertà appena conquistata e più in generale della vita, in una Puglia tutta da ricostruire, politicamente, moralmente e istituzionalmente. Il loro segretario di federazione era il fervente Antonio Di Napoli, natio di Barletta.
Tra i loro maestri, vi erano figure straordinarie del socialismo barese: Giuseppe Papalia (deputato della Costituente), Angelo Custode Masciale e Tommaso Fiore che fu maestro anche di un altro socialista nostrano, Giovanni De Gennaro, oltre che tra i promotori del primo congresso nazionale del CLN tenuto a Bari nel 1944. Suo figlio Graziano fu ucciso dai fascisti nella strage di Via dell’Arca.
Sempre all’insegna dell’antifascismo, su di loro giocò un ruolo essenziale anche Giuseppe Di Vagno, una sorta di fratello maggiore, dato che era del 1922. Era un simbolo ed un compagno speciale, perché figlio di quel Di Vagno, il deputato socialista assassinato dagli squadristi di Caradonna. L’assalirono con pistole e una bomba a mano dopo un comizio a Mola di Bari. Sarà Gianvito Mastroleo a erigere la Fondazione Di Vagno, oggi diretta da un’altra socialista barese, Daniela Mazzucca.
Erano troppo giovani per fare i partigiani o i Costituenti, ma furono loro ad attivare le tante sezioni e ad organizzare le prime elezioni libere, come quella del 1959, che darà a Bari il suo primo sindaco socialista: Giuseppe Papalia. Avevano 20 anni quando diffondevano a operai e contadini le idee socialiste, parlando di riforma agraria, di municipalizzate e diritti dei lavoratori.
Un giorno saranno amministratori comunali (come Formica), fondatori della Regione Puglia (Princigalli) e presidenti della provincia di Bari (Mastroleo).
E che dire di Lenoci che nel 1968 sarà il relatore della legge sul divorzio oltre che il co-artefice della riforma del diritto di famiglia ancora così impregnata di patriarcato e maschilismo?
Lenoci militava nella corrente di De Martino che nel 1976 fu spodestato alla guida del partito da Craxi grazie ai voti di Nenni e Lombardi (che poi se ne pentì). De Martino parlava ancora di un PSI anti-capitalista, alleato, se non fuso, con il PCI. Arriverà a dire a che il PSI aveva subito una mutazione genetica. Eppure, anche Craxi volle molto bene a Titino. Tanto è vero che si precipitò a Bari per commemorarlo ai suoi funerali.
Al congresso di Torino dell’aprile 1978 (due mesi prima della sua morte), Lenoci fu invitato da Craxi ad unirsi a lui. Titino chiamò la moglie Simonetta: «Ho rifiutato», le disse. Perché, come le spiegò, il suo posto era a fianco dell’anziano leader De Martino.
La storia non la si fa con i se, eppure viene spontaneo chiedersi: se in quella mite quanto maledetta sera d’estate del 18 giugno 1978, un’auto non l’avesse falciato uccidendolo mentre attraversava a piedi Corso Cavour, che posizione avrebbe assunto negli anni ‘80 e ‘90 in seno al PSI? Simonetta Lorusso assicura: «Sarebbe rimasto per sempre socialista». Sì, ma in quale percorso? Restando nel partito sino alla fine, come fecero i pugliesi Signorile, De Lucia, Quaranta e Marzo? O piuttosto avrebbe co-fondato i DS con Ruffolo e Spini, ritrovando così il suo maestro De Martino, ma anche il suo amico di gioventù Giacomo Princigalli? Probabilmente come quest’ultimo avrebbe vissuto lo scioglimento dei DS nel PD come la promessa tradita di un partito unitario del socialismo democratico, che finalmente risanasse le troppe scissioni del passato. Oggi avrebbe 92 anni e lo si ascolterebbe come merita un vecchio saggio socialista. Avrebbe chiesto di votare per il PSI alleato di Bonino e Renzi, appena tristemente sconfitto alle elezioni europee, oppure avrebbe subito il fascino della giovinezza e freschezza di Elly Schlein?
Ma più probabilmente, lo vedremmo assorto nell’amarezza e nel rimpianto inconsolabili per un’idea di socialismo che non ritrova più.
Non lo sapremo mai. Ma una cosa è certa e ci è data da Sandro Pertini: «Vive sempre in me il ricordo del compagno e amico Vito Vittorio Lenoci, dall’animo sempre proteso verso la libertà e gli interessi della classe lavoratrice. Egli ha lasciato un’orma incancellabile nella storia del Partito Socialista Italiano e del Popolo Pugliese».
Mantenere vivo il suo ricordo riaccende quel sogno e bisogno di pace e di una società democratica, antifascista e socialista di persone libere ed eguali.