Ogni giorno sentiamo parlare sempre di più di ESG e di Report di Sostenibilità. L’acronimo ESG, che indica Ambiente Sociale e Gestione, con il quale le nostre PMI stanno imparando a convivere con non poche difficoltà, ci ricorda che ogni impresa, in forza del valore sociale ad essa attribuito, deve improntare la propria gestione verso uno sviluppo sostenibile.
Significa che le imprese, come se non bastassero tutti i problemi con i quali sono costrette a combattere quotidianamente, devono porre attenzione ad altri adempimenti imposti loro dalla normativa ESG.
Non sono più sufficienti le performance economico e finanziarie, come se su quel fronte le nostre PMI avessero già assolto il proprio compito, ma bisogna orientare le attività aziendali tendendo a salvaguardare le risorse naturali (Enviroment), nel rispetto della dignità umana (Social) e coniugando il tutto con i principi etici (Governance).
Una parola!
Gli sforzi di adeguamento vengono misurati attraverso 17 obiettivi primari di sviluppo sostenibile elencati nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sottoscritta da 193 Paesi a settembre 2015.
Sono obiettivi che in pratica dovrebbero far parte della coscienza civica imprenditoriale (responsabilità sociale di impresa) che permetteranno di lasciare ai nostri figli un mondo, se non migliore, almeno come l’abbiamo ricevuto dai nostri padri.
Si parla di lotta alla povertà, alla fame, alla salute, all’istruzione, promozione del lavoro e della parità di genere, tutela del clima e della giustizia ed altri fini nobili.
Come non essere d’accordo?
Ma tutto questo grava sulle fragili spalle delle nostre PMI già quotidianamente impegnate in una lotta di sopravvivenza, in forza della globalizzazione dei mercati, che le mette a confronto con competitors stranieri senza regole (CINA) o con ingenti aiuti governativi (USA) e spesso anche aiutati da barriere all’ingresso nei loro mercati.
Una lotta impari! È proprio necessaria?
Eppure il sistema sembra abbia inesorabilmente avviato il treno che rischia di travolgere le deboli e piccole imprese italiane.
È vero che i Report di Sostenibilità entreranno progressivamente a regime entro il 2028 e dovranno essere obbligatoriamente adempiuti da imprese quotate, banche e assicurazioni; ma le nostre PMI inizieranno ad avere ben presto obblighi a cascata imposti da queste entità maggiori.
Gli obblighi di rendersi trasparenti ai criteri ESG verranno loro imposti dai diversi mercati in cui sono coinvolte: mercato dei capitali (banche), mercato della fornitura (grandi imprese industriali quotate e non), mercato dei consumatori in virtù del crescere della nuova coscienza civica, si spera.
Sembra inutile e soprattutto impossibile opporsi; inutile cercare di fermare il vento con le mani.
Meglio organizzarsi e adeguarsi.
Il modo migliore per sopravvivere è evolversi; purché si sia in grado di farlo.
Il rischio è restare travolti dal treno del cambiamento.
Si impone anche qui un’azione di sistema, organizzando gli stakeholders e auspicando come sempre, quando parliamo di micro e piccole imprese, un sano criterio di proporzionalità.
Non mettiamo un carico da 100 chili su un bambino.
Occorre che gli intermediari finanziari, che forniscono la linfa vitale allo sviluppo delle imprese, usino il bastone degli obblighi di adeguamento e la carota del supporto e della convenienza all’adeguamento stesso.
Appare opportuno declinare gli strumenti di questo processo evolutivo in modo adeguato alla dimensione delle PMI creando una sorta di «patente di sostenibilità» che potrà avere diverse categorie, come quella di guida che non pretende che tutti gli autisti guidino un TIR.
E le «scuole guida» delle imprese potrebbe essere proprio la rete dei Confidi con lo scopo di informarle, formarle e accompagnarle nel percorso di crescita consapevole e sostenibile.
È auspicabile che i Confidi assumano questo ruolo di «Mediatori Cultuali ESG» per evitare di marginalizzare inesorabilmente le nostre PMI e aiutare tutti noi a non far finta di meravigliarci se imprese industriali, con marchi noti nel mondo, vengono commissariate perché facevano produrre per pochi euro i propri abiti o le proprie borse, pagati migliaia di euro da consumatori distratti, in angusti sottoscala gestiti da extracomunitari clandestini.
Con buona pace di lotta alla povertà, alla fame, al lavoro, alla giustizia. Cosa scriveranno queste imprese nei loro prossimi Report di Sostenibilità?